Il Guangzhou Institute of Geochemistry in Cina ha scoperto un modo assolutamente green per estrarre le terre rare senza usare sostanze chimiche inquinanti
Smartphone, batterie delle auto, hard disk dei computer e macchinari medicali basano il proprio funzionamento sulla presenza di minerali come il neodimio o il samario: le cosiddette terre rare, un gruppo di 17 elementi della tavola periodica. Meno di un anno fa nel sud della Norvegia, all’interno della caldera di un antico vulcano, è stato trovato il più grande giacimento di terre rare d’Europa, 8.8 milioni di tonnellate. Ad oggi però circa l’80% della fornitura proviene da depositi nella Cina meridionale e del Myanmar, dove peraltro le normative ambientali sono scarsamente applicate e l’estrazione illegale è pratica comune. Oggi, la maggior parte delle terre rare utilizzate nell’elettronica viene estratta utilizzando sostanze chimiche tossiche. Sfruttare quindi un metodo alternativo basato sui campi elettrici potrebbe rendere il tutto ben più sostenibile. Miglior efficienza, minor impatto ambientale e minori costi. Ben due terzi di meno.
L’esempio del mercurio e dell’oro
Si sa che la pratica dell’estrazione dell’oro attraverso l’uso di mercurio ha distrutto intere zone delle foreste brasiliane, africane e indonesiane, intaccando gravemente anche la salute degli stessi sfortunati che scavano a mano migliaia di tonnellate di terra e roccia. Come avviene? Macinando e miscelando vari chilogrammi di terreno in un tamburo rotante con mercurio liquido e acqua: il mercurio attira l’oro presente nelle sabbie e nei detriti, formando un amalgama che poi viene riscaldato, in modo da concentrare l’oro vaporizzando il mercurio che così viene rilasciato nell’ambiente anche in forma gassosa, accumulandosi sul terreno e nelle acque, oltre che nei polmoni.
Estrazione elettrocinetica
Ora invece è possibile concentrare e separare quegli elementi utilizzando solo una serie di cariche elettriche, riducendo sostanzialmente l’impatto delle sostanze chimiche dannose. Merito di un gruppo cinese che ha infatti proposto questo nuovo approccio sviluppando e testando questo metodo, descritto sulla rivista Nature. Il team del Guangzhou Institute of Geochemistry ha iniziato con un esperimento in laboratorio, passando poi sul campo a lavorare prima su pochi chili e poi su varie tonnellate di materiale. Alcuni minerali rari si trovano solitamente nella roccia dura e vengono estratti in un modo diverso ma molti si trovano «disciolti» nell’argilla. In un giacimento di terre rare hanno inserito quasi 200 elettrodi in un pozzo scavato a 22 metri di profondità nella roccia. Il campo elettrico spinge gli elementi delle terre rare verso alcuni «punti di raccolta». Successivamente, hanno pompato solfato di ammonio (un tipo di sale inorganico) per sciogliere e separare gli elementi delle terre rare come ioni carichi. Hanno quindi attivato gli elettrodi per creare un campo elettrico tra elettrodi caricati positivamente e negativamente. Quel campo elettrico ha spostato gli elementi delle terre rare verso gli elettrodi caricati positivamente, concentrandoli insieme. Gli elementi quindi possono essere trasferiti in vasche di trattamento per ulteriori processi di purificazione e separazione. Sono stati condotti degli esperimenti che dimostrano che a tensioni diverse con elettroliti diversi corrispondono estrazioni di metalli diversi. Il differente approccio ha ridotto le quantità di sostanze chimiche nocive e le relative emissioni di ammoniaca del 95%. L’efficienza dell’estrazione è quasi doppia rispetto a quella tradizionale.
Gli aspetti negativi
Questa tecnologia ha un grande potenziale ma deve ancora affrontare sfide pratiche, tra cui la gestione dei costi energetici e il lungo tempo necessario per raggiungere il 95% di efficienza, dimostrando al tempo stesso sia fattibile su larga scala.
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