Dopo il 7 ottobre 2023 «tantissime cose sono cambiate» per le organizzazioni di volontari israeliani impegnati da anni ad aiutare i palestinesi; ma non la volontà di porre fine al bagno di sangue. «Ci sono persone che hanno continuato a far parte della nostra organizzazione anche dopo aver assistito ai funerali di altri volontari che sono stati uccisi nell’attacco di Hamas; altre che avevano i figli al fronte hanno continuato a scortare i malati palestinesi dalla Cisgiordania verso gli ospedali israeliani», racconta l’israeliana Yael Noy, direttrice della ong The road to Recovery. Nell’organizzazione Parents Circle – Families Forum «nonostante stiamo attraversando una fase estremamente dolorosa, solo 3 famiglie (su oltre 700) hanno preso le distanze da noi, e tante altre si sono avvicinate dopo aver vissuto a loro volta la tragedia della scomparsa di persone care» spiega la palestinese Layla Al-Sheikh, madre di cinque figli e membro del Forum. Sono due delle testimonianze più emblematiche del saggio collettaneo Israele e Palestina: la pace possibile a cura del caporedattore del mensile Confronti, Michele Lipori.
Un volume scaturito dagli appuntamenti del pluridecennale progetto Semi di pace promosso dalla rivista e Centro studi interreligioso Confronti con i contributi dell’8 per mille della Chiesa valdese. Un coro polifonico reso ancora più significativo nell’estrema polarizzazione che un po’ ovunque ha preso piede in questi oltre 15 mesi di guerra nel Vicino Oriente. «L’idea che immediatamente ci suggerisce una situazione del genere – osserva Lipori nelle prime pagine – è di essere senza via di scampo. E proprio per questo il messaggio di quelli che sono realmente dei “testimoni di pace” […] è per un verso “eccezionale”, ma dall’altro di una semplicità disarmante: queste persone sanno che nessuna vendetta sarà in grado di ridare la vita a chi l’ha persa e pertanto la vita va protetta».
Nella prima parte del volume sfilano le prese di posizioni più scomode assunte da intellettuali e attivisti italiani, laici e religiosi, che si sforzano da decenni di costruire un repertorio socio-politico che sostenga la pace. Dalle analisi critiche verso le politiche dello Stato di Israele di Anna Foa, Giorgio Gomel, Gad Lerner e Davide Lerner alle voci, tra gli altri, sulle responsabilità delle Chiese di Paolo Naso, Fulvio Ferrario, Luigi Sandri, Peter Makari. Ma l’originalità e la forza del volume risiedono forse ancora di più nella seconda parte, quella delle testimonianze di chi, pur in mezzo al conflitto, si sforza ogni giorno di vivere gli ideali di libertà, uguaglianza, fraternità, giustizia. Basti leggere, fra le altre, le interviste a Rana Salman di Combatants for Peace, della suora egiziana Nabila Saleh della congregazione delle missionarie di Nostra Signora del Rosario da 13 anni a Gaza, della scrittrice Orna Akad, degli attivisti Mossi Raz di Peace Now e Yael Admi di Women Wage Peace.
Che fare per avviare un vero processo di pace? Non bastano, pur nella sottolineatura che sono indispensabili, la fine dell’occupazione, l’espansione dei programmi interpersonali per la parità dei diritti, il sostegno alla società civile e le pressioni perché la diplomazia e la politica tornino a prendere il posto delle armi. È forse ancora più cruciale, rimarca Wasim Almasri, direttore della rete Alliance for Middle East Peace che raduna oltre 170 organizzazioni che promuovono la cooperazione tra israeliani e palestinesi «promuovere un’educazione che sfidi gli stereotipi e insegni la risoluzione dei conflitti e la costruzione della pace basata sul rispetto del punto di vista (e del dolore) dell’altro».
Le responsabilità sono enormi anche per gli operatori dell’informazione: «Quello che è probabilmente più difficile da capire dall’esterno, perché i media raramente ne parlano – argomenta Yuval Rahamim, condirettore del Parents Circle Families Forum e dal 2015 presidente del Forum delle ong pacifiste israeliane, una rete di 120 organizzazioni israeliane e bi-nazionali – è che in Israele ci sono persone che si stanno adoperando perché si trovi una soluzione alternativa al conflitto. […] Ci sono state molte proteste, anche di grandi dimensioni, contro il governo e contro la guerra qui in Israele e – anche se c’è chi sostiene Netanyahu, il suo punto di vista e le sue irresponsabili dichiarazioni – sono dell’opinione che la maggior parte degli israeliani sia convinta che sia necessario trovare una risoluzione pacifica dell’intero conflitto israelo-palestinese».
Da non perdere le interviste ai due vignettisti di fama internazionale il palestinese figlio di rifugiati Fadi Abou Hassan “Fadi Toon” e l’israeliano figlio di un sopravvissuto alla Shoah Michel Kichka, entrambi esponenti di punta della rete Cartooning for Peace alla quale aderiscono 344 vignettisti di 78 paesi impegnati nelle campagne di sensibilizzazione e costruzione della fine dei conflitti. Assai utili le appendici, con parole chiave, eventi, organizzazioni e accordi internazionali per orientarsi tra le pagine e le pieghe del conflitto.
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