VENGO DOPO IL PD. Da Franceschini a Prodi, la partita per isolare Schlein

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Altro che vice disastro, come lo definì Matteo Renzi all’epoca della rottamazione. Piuttosto Dario Franceschini è l’unico alchimista con licenza di esercizio e bottega nei pressi del Nazareno. Quello che costruisce e riassembla, non a caso oggi il suo ufficio è in una vecchia officina dell’Esquilino, tra cavi e carica batteria, in pratica gli arnesi della comprovata “expertise”. Lui c’è, naturalmente dietro le quinte, a erigere e poi a decapitare tutte le cavie uscite dal laboratorio, ad inventarsi leadership che spesso non reggono l’urto della messa a terra. Ovvero i segretari del Pd. Fin dalla sua fondazione, a partire da Walter Veltroni (di cui fu per l’appunto “vice disastro”), passando per Bersani, Renzi, Zingaretti e Letta, per arrivare al capolavoro finale. Quella “ragazza” di Bologna, che unico tra i capicorrente non dichiaratamente di sinistra, lancia in pista e sostiene: Elly Schlein. A due anni dal suo insediamento, l’ultima cavia però non fa passi avanti. Per carità i dem a

Altro che vice disastro, come lo definì Matteo Renzi all’epoca della rottamazione. Piuttosto Dario Franceschini è l’unico alchimista con licenza di esercizio e bottega nei pressi del Nazareno. Quello che costruisce e riassembla, non a caso oggi il suo ufficio è in una vecchia officina dell’Esquilino, tra cavi e carica batteria, in pratica gli arnesi della comprovata “expertise”. Lui c’è, naturalmente dietro le quinte, a erigere e poi a decapitare tutte le cavie uscite dal laboratorio, ad inventarsi leadership che spesso non reggono l’urto della messa a terra. Ovvero i segretari del Pd. Fin dalla sua fondazione, a partire da Walter Veltroni (di cui fu per l’appunto “vice disastro”), passando per Bersani, Renzi, Zingaretti e Letta, per arrivare al capolavoro finale. Quella “ragazza” di Bologna, che unico tra i capicorrente non dichiaratamente di sinistra, lancia in pista e sostiene: Elly Schlein. A due anni dal suo insediamento, l’ultima cavia però non fa passi avanti. Per carità i dem alle elezioni dimostrano di essere in salute però, che disastro il campo largo, in questo modo impossibile l’alternativa a Giorgia Meloni. Da qui la direttiva nuova di zecca dell’alchimista: «Marciamo divisi», che ad avere un programma comune intanto non ci riusciamo. In più la coda del “diavolo”: certo se passassimo al proporzionale, anche Forza Italia ci guadagnerebbe. Da romanziere affermato (il suo ultimo “Aqua e tera” sta andando bene), a rimasticatore di vecchi successi arboriani: «Vengo dopo il Pd, vengo e mi metto lì».

 

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Tanto è bastato per infiammare il Nazareno, stavolta si sono risentiti per davvero, lesa maestà. Rinverdendo la solita litania che accompagna tutte le “trovate” del “geniaccio” di Ferrara: «Cosa avrà in testa questa volta Dario? », «chi vuole fregare a sto giro?». Per dire che l’impressione è che l’ultima “polpetta” sia proprio per Elly, malcapitata di un lunghissimo elenco. Che reagisce nel modo di sempre, alzando le spalle: «Preferisco i temi concreti, non entrerei in questo dibattito», afferma la segretaria derubricando il tutto ad abituale chiacchiericcio politico. Il suo più solido sponsor paragonato ad una sorta di “comare”, la segretaria deve essere proprio fuori dalla grazia di Dio. A bastonare il novello “meccanico”, ci pensa infatti Marco Furfaro, l’enfant prodige incompreso dei dem: «Non intendiamo rinunciare a unire i potenziali alleati sui temi, sulla vita concreta delle persone. Sarà questo ad aiutarci ad avvicinare le posizioni oggi più distanti». Con tanto di corollario finale: «Non apriremo mai a Forza Italia». Gli azzurri, però, con le parole dello stesso segretario Tajani rispediscono l’invito al mittente: «A sinistra non si illudano che noi abbandoniamo il centrodestra per un sistema elettorale diverso. Sono favorevole al proporzionale ma in un ambito di coalizione». Sulla sua linea, anche il capogruppo in Senato Maurizio Gasparri.

 

 

L’epicentro però resta il Pd, la trovata di Franceschini, oltre alla maggioranza del partito, non è gradita neanche da Romano Prodi e dagli ulivisti. Che però concordano con l’ex ministro sul via libera al cespuglio centrista, «bisogna andare a prendere i voti dei moderati», insomma una benedizione all’operazione di Ernesto Maria Ruffini che vuole creare una Margherita bonsai. D’altra parte, è il destino di Dario Franceschini: anticipare i tempi, lanciare il sasso nello stagno, provocare dibattiti estenuanti, e poi puntualmente vedersi riconosciute le ragioni. Andò così anche con i 5 stelle, l’alchimista era l’unico dirigente dem favorevole all’incontro con il Movimento, servì l’arrivo di Matteo Renzi che sposò l’idea di un governo con Giuseppe Conte, a spianare la strada. Anche la recente svolta parte da una fotografia dell’esistente. Il campo largo è diviso praticamente su tutto: dalla politica economica a quella internazionale, impossibile procedere insieme. Altro che le 300 pagine di programma che servirono al Professore per gestire l’Unione, oggi non basterebbe un tomo, il leader pentastellato si distinguerebbe comunque. Ed allora sì, «marciamo divisi», (nel caso poi discutiamo dopo il voto) la “bestemmia” che il Nazareno non vuole ascoltare. La casa madre predilige parlare di coesione ed unità, e nascondere sotto il tappeto le liti continue, minimizzarle. Tutti dietro ad Elly Schlein, anche se il traguardo fosse quello di andare a sbattere contro un muro. «Testardamente unitari», quasi un epitaffio.

 



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