Sul Tfs statali ingannati: non c’è più nemmeno l’anticipo a tasso agevolato dell’Inps

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Prestito personale

Delibera veloce

 


Anche l’ultimo velo di ipocrisia è caduto. L’Inps non intende più stanziare risorse per permettere l’anticipazione a costo contenuto di Tfs e Tfr per gli statali che vanno in pensione. La sospensione provvisoria delle erogazioni, decisa lo scorso anno per esaurimento della copertura, è diventata definitiva, mentre è assoluta la certezza che per lo Stato, in tutte le sue forme (dal governo centrale fino ad un ente pubblico non economico, qual è l’Istituto Nazionale di Previdenza), i dipendenti statali sono figli di un dio minore, destinati pertanto a non godere degli stessi diritti di tutti gli altri lavoratori. I loro soldi, infatti, se li continua a tenere in cassa per anni il datore di lavoro, nonostante, come ribadito più volte dalla Corte Costituzionale, i loro Tfs e Tfr non siano altro che salario differito, al pari del Tfr dei dipendenti privati e come tale vadano erogati in tempi ragionevoli (qualsiasi altro datore di lavo privato paga entro poche settimane, due mesi al massimo).

L’anticipazione erogata dall’Inps (che per inciso non era gratis ma costava al dipendente pur sempre un 1% annuo) era l’unica mossa concreta effettuata dallo Stato per andare incontro, anche se solo parzialmente, alle due sentenze della Corte Costituzionale che lo hanno messo in mora. Ma è stata fin dall’inizio solo una soluzione tampone, per prendere tempo e far sbollire le tensioni, del resto l’Inps ha accettato la richiesta del suo “azionista” obtorto collo, direi quasi con fastidio. Hanno sempre sottolineato che si trattava di un esperimento ed esauriti in pochi mesi i soldi messi nel fondo apposito (che con poca valutazione dell’effettiva realtà del fenomeno, si era previsto dovessero coprire due esercizi), si è annunciata prima la sospensione temporanea e poi, oggi, l’archiviazione definitiva della pratica.

Adesso, quindi, per permettere a chi ha bisogno urgente di quei soldi, non c’è altra strada che ricorrere alla convenzione stipulata dal governo con le banche, che però costa tre volte quanto costava il ricorso all’Inps. Per anticipare fino a 45 mila euro (la cifra massima prevista dalla convenzione), le banche chiedono un tasso d’interesse che al momento è intorno al 3%, visto che si calcola sommando lo spread tra titoli di stato italiani e bund tedeschi, al rendistato, parametro calcolato sull’andamento di un paniere di titoli di Stato, che appunto attualmente è di poco sotto il 3 per cento. Facendo, insomma, un po’ di conti: per avere 45 mila euro entro pochi mesi dal pensionamento, l’unica soluzione che i dipendenti pubblici hanno a disposizione costa 1500 euro l’anno, si deve, cioè, pagare quella cifra per potersi mettere in tasca soldi propri, già guadagnati con il proprio lavoro.

Contabilità

Buste paga

 

Certo, se i soldi ti servono passi sopra a tutto, ma la necessità non rende meno grave il furto che viene perpetrato ai danni del dipendente e che viene pure fatto passare per trattamento di favore, visto che un prestito normale probabilmente costerebbe qualche decimale in più. Un furto di cui non sono certo responsabili le banche, che comunque prestano soldi propri e che hanno tutti i diritti di vedere remunerata la loro operazione. Lo stesso, però, non si può dire dello Stato, che continua a finanziarsi per anni con soldi che non sono suoi. Quello dello Stato, infatti, è un prestito forzoso a suo favore in cui la cifra gli viene lasciata a costo zero, perché fintanto che la tiene in cassa nessun interesse viene riconosciuto al legittimo proprietario, che a questo punto fa la figura di quel tale che, quando si usavano perifrasi politicamente scorrette, veniva definito cornuto e mazziato.

Un’ingiustizia talmente grave da ledere diritti costituzionali, come sancito dalla Consulta, e infliggere al tempo stesso un serio danno economico a migliaia di lavoratori. A questo proposito vorrei ricordare alcune cifre che, proprio su queste colonne, avevamo rese note qualche mese fa. Basandoci sui dati del Conto annuale della Ragioneria Generale dello Stato, avevamo rilevato che nel 2022 (ultimo anno disponibile), erano andati in pensione 111.467 dipendenti pubblici, 53.023 per sopraggiunti limiti d’età e 64.467 per dimissioni con diritto a pensione (quota 101 e altri meccanismi di prepensionamento). I primi avevano diritto a ricevere fino a 50 mila euro lordi del loro Tfr/Tfs dopo 12 mesi dal passaggio in quiescenza (la cifra rimanente l’avrebbero incassata dopo altri dodici mesi), i secondi potevano invece a ricevere i propri soldi, sempre a rate, ma solo due anni dopo il conseguimento dell’età massima pensionabile (il che significa che si può attendere anche cinque anni). In sostanza, mettendo insieme le due categorie, si può calcolare che l’attesa media della buonuscita per ogni pensionato è di almeno tre anni. 36 mesi per avere i circa 75 mila euro dovuti (stiamo parlando sempre di cifre medie). E già questa è un’enormità, ma se passiamo a poi a calcolare il costo del ritardo in cifre assolute, la grandezza dell’ingiustizia subita dai dipendenti pubblici è ancora più evidente. Sì, perché secondo i nostri calcoli, se lo Stato dovesse pagare ai dipendenti gli interessi di mercato sulle cifre trattenute in cassa in barba ai loro diritti costituzionali, dovrebbe tirar fuori circa 300 milioni di euro l’anno, e quindi sul triennio medio di ritardato pagamento, le casse pubbliche lucrano la bellezza di 900 milioni lordi. Mentre il povero dipendente se vuole un anticipo, paga le banche di tasca sua. E questo nonostante la Costituzione più bella del mondo.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link