di Maurizio Ballistreri
Dal discorso di insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca e dall’intervento al Forum di Davos, sembra quasi emergere un conservatorismo radicale, con una sorta di “dichiarazione di guerra” al mainstream dominante a livello planetario, quello sintetizzabile nella formula del “politicamente corretto”, sposato da una parte della sinistra che ha abdicato alla propria funzione storica di rappresentante delle classi più deboli, con la declamazione dei diritti individuali, in primo luogo quelli del libero mercato, e di quelli civili.
Nella formula del “politicamente corretto” SI trova la sintesi del wokeismo dell’ideologia gender, il cancel culture, la transizione green e la globalizzazione by Forum di Davos, elementi costitutivi, ormai, della cifra di quell’occidentalismo progressista, che ha soppiantato i programmi sociali della socialdemocrazia del ‘900 e le sue conquiste in favore dei ceti più deboli, attraverso i diritti sociali, la redistribuzione fiscale della ricchezza, il welfare state, il controllo operaio delle aziende, la partecipazione sindacale alle scelte macro-economiche dei governi.
Un nuovo genus di sinistra, legato all’establishment e all’ideologia della globalizzazione, che esprime un diuturno impegno in favore dei cosiddetti migranti economici, in fuga essenzialmente dai paesi africani.
Nei confronti di chi si oppone a questa posizione non si contano gli strali di sovranismo, razzismo via via sino al fascismo, rinnegando tutto un filone della sinistra che riteneva i diritti umani tout court espressivi del cosmopolitismo borghese e in contrasto con lo spirito della classe operaia. Lelio Basso, uno dei padri costituenti, tra i maggiori teorici del socialismo nel nostro Paese nel dopoguerra, vicino a posizioni marxiste non dogmatiche come quelle di Rosa Luxemburg, a tal proposito ebbe ad affermare che “Ma così come il sentimento nazionale del proletariato non ha nulla di comune con il nazionalismo della borghesia, così il nostro internazionalismo non ha nulla di comune con questo cosmopolitismo di cui si sente tanto parlare e con il quale si giustificano e si invocano queste unioni europee e queste continue rinunzie alla sovranità nazionale”.
Ma c’è da dire che il politicamente corretto da parte di quella parte della sinistra che tra privatizzazioni, austerity e monetarismo europeo, adesione acritica al mondialismo culturale ha rinnegato le proprie radici storiche, non viene utilizzato sempre, in particolare per non toccare la finanza globalizzata, risposta del capitale per risolvere la sua sovraccumulazione e la caduta del saggio di profitto – come ha insegnato Karl Marx – mediante la riduzione dei salari e del welfare, dando spessore all’analisi politologica della contrapposizione tra le “due destre”.
E all’ombra della “guerra” di Trump contro il politicamente corretto, con l’offensiva basata sullo slogan “American First” dell’ideologia della “terra e del sangue”, protezionista in economia, si viene a delineare un nuovo “turbocapitalismo”, quello degli oligarchi del digitale, tra cui Musk, Bezos, Zuckerberg, Pichai (nel 2020 in verità schierati con i democrats a sostegno di Biden), che sembra volere configurare una civiltà mondiale, universale, estesa a tutto il globo, riecheggiando così lo Stato-totalità di Hegel o di Carl Schmitt e quello universale jungeriano, con i satelliti, lo smartphone e i social strumenti di dominio del pianeta, dai poli ai deserti, dalle megalopoli alle case isolate in montagna: una versione aggiornata del “Grande fratello” di George Orwell.
Ciò che appare chiaro è che sia la geopolitica quanto l’economia a livello globale non saranno più eguali a quella fase, nata con il crollo del Muro di Berlino nel 1989 e la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, con il paradosso che la globalizzazione, la libera circolazione di beni e capitali definita nel 1994 con gli accordi GATT del 1994, all’esito dell’Uruguay Round, fu fortemente voluta dal presidente americano Bill Clinton e che consentì la straordinaria crescita ed esportazione dell’industria cinese; oggi, la sua messa in mora, con l’annuncio del ritorno al protezionismo statunitense, viene da un altro presidente Usa, mentre l’Unione Europea, senza una politica estera e fiscale e una difesa comuni, rischia di essere marginalizzata.
Eppure, ci vorrebbe una presenza sullo scacchiere planetario di un’Europa politicamente unita.
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