La pistola puntata in faccia, il terrore, l’indifferenza dei passanti. L’orafo rapinato: «Non ho reagito pensando a mia figlia»

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la rapina a San Zeno

I rapinatori fuggiti in autostrada L’iPad della vittima è stato abbandonato allo svincolo tra la A4 e l’A22. La refurtiva ammonta a 10mila euro in collane

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Sono i carabinieri a seguire le indagini della rapina avvenuta a San Zeno




Sono i carabinieri a seguire le indagini della rapina avvenuta a San Zeno



Sono i carabinieri a seguire le indagini della rapina avvenuta a San Zeno

È ancora scosso, ma a prevalere è la rabbia. A parlare è il rappresentante orafo che giovedì 23 gennaio, intorno alle 17.30, è stato vittima di una rapina a mano armata in via Pontida, nel quartiere di San Zeno. Due uomini in moto, armati e pronti a tutto, lo hanno seguito dopo che aveva mostrato della merce in una gioielleria di via Diaz.

L’uomo è stato aggredito mentre era fermo al semaforo in colonna.

«Credo mi abbiano tenuto d’occhio e seguito», racconta l’uomo (che preferisce restare anonimo), ancora visibilmente turbato dall’esperienza. «Dopo la rapina, i carabinieri hanno scoperto che le telecamere esterne della gioielleria di via Diaz avevano ripreso degli uomini, uno in particolare vestito di scuro e con il casco in testa che guardava all’interno del negozio». È da quei frame che si sono poi sviluppate le indagini.

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Il gioielliere, un uomo di un metro e 85 (e 110 chili), sospetta che i malviventi vista la sua stazza, abbiano ritenuto non fosse una buona idea affrontarlo direttamente per strada, scegliendo invece di seguire la sua auto.

«Avevo lasciato l’auto in piazzetta Sant’Eufemia, perché ho il permesso per il centro», spiega, «e una volta arrivato in via Pontida mi hanno raggiunto». «Mi sono fermato al semaforo, e improvvisamente ho sentito il rumore del lunotto posteriore che si rompeva». È in quel momento che il rappresentante è sceso dall’auto: «Ho urlato una parolaccia chiedendo al tizio cosa stesse facendo». L’uomo ha teso il braccio con un oggetto scuro in mano che il gioielliere ha presunto fosse una pistola, minacciandolo. «Mi ha detto di non fare il co****ne e di aprire il bagagliaio».

Un attimo di panico, ma anche di lucidità: «Ho pensato subito a mia figlia di 19 anni, a mia moglie, e mi sono detto “Non fare ca**ate“. Ho quindi aperto il bagagliaio, come richiesto».

I rapinatori hanno preso lo zainetto con i rotoli di collane che il gioielliere aveva con sé, e subito dopo sono scappati via. «Una volta andati via, ho accostato l’auto e chiamato i carabinieri. I due avevano accento del sud, ma quello si può anche simulare».

Quello che ha ferito maggiormente il gioielliere, oltre al trauma subito, è stata la mancata reazione delle persone che si trovavano nelle vicinanze: «Non dico che chi stava dietro di me avrebbe dovuto intervenire durante la rapina, sarebbe stato troppo rischioso. Ma dopo, nessuno si è fermato per chiedere se avessi bisogno, nessuno ha cercato di capire cosa fosse successo».

Il valore dei gioielli rubati ammonta a circa 10mila euro, una somma che il gioielliere considera “niente in tutto”. «I rapinatori si sono fatti ingannare dal fatto che avevo dei rotoli, ma la merce che porto in giro non è così costosa. Forse credevano fossero pezzi di valore. Mi hanno anche rubato l’iPad, ma fortunatamente è stato ritrovato dalla polizia Stradale, nello svincolo tra la A4 e la A22, dopo che i rapinatori lo avevano abbandonato. Mia figlia lo seguiva con l’applicazione e lo abbiamo segnalato».

La rapina ha comunque lasciato il segno. «Ho deciso di non lavorare più con il campionario. Ho già avvisato le aziende per cui lavoro: non voglio più rischiare. Mi spiace che la nostra città si sia ridotta così, a questo livello di paura e indifferenza».

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E in riferimento al colpo messo a segno a Santa Maria di Zevio: «Non credo che le due rapine siano collegate: dopo la mia rapina, i malviventi sono stati segnalati dal mio iPad in viale del Lavoro verso le 18.30, e poco dopo il tablet li ha segnalati in autostrada. Lì lo hanno abbandonato forse intuendo che c’era l’applicazione aperta. Mi è andata bene. Chissà come sarebbe finita se invece del cuore avessi seguito l’istinto e avessi reagito, mi sono sembrati dei professionisti», conclude.





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