«Torniamo ai piatti più semplici»

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«Sifoni, ultrasuoni, azoto: basta con i piatti che non si mangiano o distruggeremo uno dei patrimoni più grandi che ha l’Italia, quello culinario». Com’è nel suo stile, non le manda a dire chef Gianfranco Vissani, a capo del ristorante stellato “Casa Vissani” che gestisce insieme con il figlio Luca.

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Negli anni ‘90, con le sue apparizioni a Unomattina, è stato il precursore di quella moda che oggi vede gli chef protagonisti di intere e seguitissime trasmissioni di cucina, trasformati in star inavvicinabili. Ma è riuscito a mantenere i piedi per terra. Nel loro ristorante a Baschi, in provincia di Terni, i Vissani uniscono cucina e sentimento, senza perdere mai di vista l’italianità. Per questo, la loro carta si chiama “Volare”, come il brano più celebre di Modugno «perché – spiegano – in quel brano c’è tutta l’essenza dell’Italia e anche l’enogastronomia». E al cantante pugliese sono dedicati anche due menu, “Volare in grande” e “Volare in piccolo”.

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Ma loro sono un’eccezione. Visto con il loro sguardo ironico, questo mondo fa davvero sorridere, perché è diventato la caricatura di se stesso. «Meno curve, meno storytelling – interviene Luca Vissani – perché se impiego mezz’ora a spiegare un piatto che si mangia in un minuto il cliente si sente preso in giro e non torna più».

Partiamo da qui: la clientela si sta disaffezionando all’alta cucina?

Gianfranco: «La crisi c’è in tutto il mondo, in Italia un po’ di più perché non ci sono denari per andare a mangiare fuori».

Luca: «Il problema non sono le stelle, ma i costi per mantenerle. In Italia la pressione fiscale è la più alta d’Europa. Gli imprenditori devono essere messi nelle condizioni di riconoscere qualcosa in più ai dipendenti in busta paga senza rimanere con le casse vuote».

Rispetto agli anni d’oro, cos’è cambiato?

Gianfranco: «Negli anni ‘60 gli americani venivano a Capri per mangiare il coniglio o la caprese e per loro era un sogno. Oggi la caprese l’abbiamo trasformata, il coniglio lo facciamo a basse temperature. Ci sono troppi ristoranti un po’ sopra le righe che esagerano con questi piatti con l’azoto, basse temperature, sifoni, ultrasuoni. Sono piatti che non si mangiano. La gente si è stancata, vuole mangiare roba semplice, immediata. E pagare il giusto».

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Luca: «I nostri piatti iconici, della tradizione, sono scomparsi dai menu. Oggi i piatti hanno nomi di fantasia come “Andata e ritorno”, “Vai e vieni”, “Mordi e fuggi”. Tutto divertente, ma poi dentro questo circo cosa c’è? Prima si elencavano gli ingredienti o almeno il soggetto. L’alta ristorazione non è solo cucina creativa, è fatta sì da zuppa di piccione con melograno croccante e salsa di branzino, ma anche dallo spaghetto al pomodoro. Ci vogliono l’uno e l’altro e per certi versi il più semplice solletica di più la memoria del gusto».

Quindi, questa crisi è un po’ colpa anche degli chef?

Gianfranco: «Certo, c’è troppo ego. Molti cuochi vogliono fare le prime donne, ma mancano di tecnica. Non c’è un piatto bilanciato: strabordano o sono poveri di sugo. In questo modo stiamo distruggendo il più grande patrimonio che ha l’Italia, che dopo quello artistico è quello culinario».

Luca: «Meno curve, meno storytelling, meno racconti, perché in queste curve il cliente si perde. Abbiamo mezz’ora di spiegazione e un minuto di piatto, la gente si sente presa in giro. C’è ancora chi è disposto a spendere per mangiare bene, ma vuole le cose semplici».

Cosa si può fare, allora, per invertire la rotta?

Gianfranco: «Dobbiamo fare due o tre o anche quattro passi indietro. Abbiamo perso il contatto con la realtà e per questo i ristoranti chiudono. La gente si spaventa, va via e non torna più»

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Luca: «Dobbiamo ridare alla cucina italiana il valore che ha: lavorare i nostri prodotti con gusto e con sapore per far arrivare ai clienti una cucina più “dritta”. Lavorare sul rispetto delle materie prime. Un pubblico attento a questo tipo di mercato ancora c’è, ma vuole le cose semplici. Del resto, l’alta cucina non è solo scampi, anatra e branzino ma tanto altro, più una cucina povera che arricchisce però il palato e lo stato d’animo. Ben venga la carbonara, ma non devi prendere per in giro la cucina italiana come chi la fa non mettendo nemmeno l’uovo. La rinascita del settore legato ad accoglienza e ristorazione è possibile, ma si può fare solo in questo modo, altrimenti saremo sopraffatti dalle multinazionali come già sta accadendo».

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