Lo «sgarbo» di Napoli e l’autonomia dei magistrati

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di
Antonio Polito

Dobbiamo tutti rispetto ai magistrati, al pari di quanto ne dobbiamo a poliziotti e carabinieri e a tutti i servitori dello Stato che proteggono la nostra sicurezza e assicurano la giustizia. Anche se poi, nell’immaturo bipolarismo italiano, la destra ha adottato i poliziotti e ce l’ha con i magistrati, mentre la sinistra che idolatra i magistrati ce l’ha spesso con i poliziotti. Ma il rispetto dovuto ai magistrati, i quali incarnano il potere giudiziario e cioè uno dei tre poteri fondamentali della Repubblica, dovrebbe avere come ovvia contropartita il rispetto dei magistrati nei confronti degli altri poteri della Repubblica. Bisogna dire che questo non sempre avviene, e certamente non è avvenuto ieri a Napoli, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario. 

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Quando il numero uno dei pm di Napoli, il procuratore capo Nicola Gratteri, apertamente e dichiaratamente ha disertato la seduta e il discorso inaugurale tenuto dal ministro Nordio. La protesta alquanto inusuale di Gratteri si iscrive ovviamente nell’ambito delle manifestazioni di dissenso che, promosse dall’Anm, i magistrati hanno tenuto un po’ in tutte le sedi giudiziarie italiane, esponendo cartelli con frasi di Calamandrei sulla Costituzione, indossando una coccarda tricolore sulla toga, e uscendo dalle aule in contemporanea con gli interventi dei rappresentanti del governo. Anzi, Gratteri ha sostenuto che l’Anm è ancora troppo timida nella sua mobilitazione contro il governo e contro la riforma costituzionale da esso varata, già approvata in prima lettura in un ramo del parlamento.




















































Pomo della discordia, ovviamente, è la separazione delle carriere tra giudici e inquirenti. Una proposta ormai annosa, sostenuta da chi ritiene che l’addio al vecchio processo inquisitorio e l’adozione del rito accusatorio, in cui il giudice è terzo, richiede inevitabilmente due carriere separate tra pm e giudicanti, e dunque anche due distinti Csm. Bisogna dire che in questa innovazione non c’è oggettivamente nulla che intacchi l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, tutelati dalla Costituzione all’articolo 104. Eppure questo è il punto d’attacco più usato dall’Anm e anche dalle forze politiche che la sostengono: che cioè in questo modo l’esecutivo di centrodestra di Giorgia Meloni stia tentando di mettere sotto controllo i pm.
Inutile ricordare che anche Giovanni Falcone, che di quella autonomia e indipendenza fece uso con grande coraggio ed efficacia contro la mafia, fino al sacrificio estremo, era favorevole alla separazione delle carriere. E di recente un pm tra virgolette «storico», protagonista della più grande inchiesta contro il potere politico mai svolta in Italia, e cioè Antonio Di Pietro, ha ribadito che nel processo il giudice deve essere terzo, che non si può essere arbitro e giocatore insieme.

Ma, naturalmente, tutto è opinabile; e in una società aperta è più che legittimo, è utile che si avvii un dibattito e una discussione, anche aspra e conflittuale, su un tema così delicato. Che tra l’altro quasi inevitabilmente sarà sottoposto al giudizio degli elettori nel referendum confermativo, necessario ogni qualvolta una riforma costituzionale non ottenga il voto dei due terzi del parlamento. Ciò che però a mio parere non è utile è trasformare il dissenso in una contrapposizione esasperata, plateale, certamente poco rispettosa dei poteri di esecutivo e legislativo, cioè del governo e del parlamento, che insieme al potere giudiziario compongono la triade «sacra» delle democrazie liberali. E francamente non corrisponde al principio di una leale collaborazione tra i poteri la scelta del capo della procura di Napoli, tra l’altro uno dei magistrati migliori e più popolari d’Italia, di snobbare il discorso del ministro di giustizia. Né convince che a motivarla si adducano aspetti organizzativi come il malfunzionamento della App2, che Gratteri accusa il governo di aver imposto contro il suo parere, semi-paralizzando così l’attività dei tribunali. Troppo poco per uno sgarbo tanto plateale. C’è modo e modo di condurre una protesta, e i magistrati non dovrebbero mai lasciarsi ingabbiare nel sospetto di volersi trasformare in un contropotere. Proprio per non contraddire quella autonomia e indipendenza che così accanitamente e giustamente difendono.

Ma i maligni sostengono, e io tendo a condividere, che la reazione così aspra e plateale dei magistrati contro la riforma Nordio sia diretta in realtà e in particolare contro un’altra norma, cioè quella che prevede che i membri del Csm non siano più scelti con votazioni su liste delle correnti dei magistrati, ma sorteggiati. Bisogna riconoscere che il procuratore Gratteri si è invece espresso a favore del sorteggio, coerentemente con una carriera fondata sul lavoro piuttosto che sulle solidarietà correntizie. E sì, perché col sorteggio si spezza proprio il potere delle correnti, costruitesi ormai nel tempo non tanto intorno alle opzioni ideali ma quanto intorno a interessi corporativi e solidarietà interne. Ma se così è, bisognerebbe ammettere che liberare i magistrati dagli obblighi e dalle costrizioni delle correnti, la cui degenerazione è risultata evidente nelle inchieste scatenate dal caso Palamara che hanno sconvolto il precedente organo di autogoverno dei magistrati, corrisponde esattamente a rafforzare la loro autonomia e indipendenza. E ancor meno si giustificherebbe perciò la scortesia istituzionale del procuratore capo Gratteri e dei suoi colleghi all’inaugurazione dell’anno giudiziario di Napoli.

26 gennaio 2025

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