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“Quando i picchetti sono fioriti” è una storia corale di tre diversi personaggi che, attraverso memorie personali, raccontano una vicenda tuttavia collettiva di sofferenza, dolore, difficoltà vissuti in una terra martoriata dalla guerra e dalle migrazioni.
Tramite gli echi e i ricordi di guerre passate, Aysar Al Saifi, nella sua ultima opera, pone il lettore di fronte a domande esistenziali molto profonde e a dense riflessioni con le quali si sono confrontati anche tutti i ragazzi del Carlo Troya, che hanno potuto dialogare con lo scrittore.
Al Saifi con una capacità comunicativa straordinaria è riuscito ad incatenare l’attenzione di più di ottocento ragazzi volando dalle parole del suo romanzo alle sue memorie personali con il racconto della sua storia.
Nato in un campo profughi vicino a Betlemme alla fine degli anni Ottanta, ha vissuto e studiato in una realtà lontanissima dalla realtà dei ragazzi occidentali, frutto della nakba palestinese che, dopo il 1948, ha visto migliaia di persone adattarsi alla vita prima in tende poi in strutture abitative di fortuna, dove – ha spiegato – più famiglie, ad esempio, sono costrette a condividere bagni e cucine.
Ha descritto una quotidianità fatta di ristrettezze e di paura, perché frequenti sono gli arresti immotivati e la detenzione amministrativa, che conduce moltissime persone a patire gravi forme di stress post traumatico. Tuttavia, Al Saifi ha sottolineato che, nonostante la vita del campo profughi sia caratterizzata da queste cupe condizioni, nel loro cielo non ha mai smesso di brillare la luce della speranza.
Proprio la necessità umana di sopravvivere anche emotivamente alle prove più dure ha spinto alcuni illuminati abitanti del campo, tra cui suo padre, a metter su associazioni e centri sociali che consentissero, mediante attività artistiche, come la scrittura o i graffiti, e attività sportive, come il basket o il volleyball, a molte persone sofferenti di osservare e metabolizzare il loro dolore sino a farne un punto d’onore: sono stati realizzati spettacoli teatrali a partire da alcune vicende personali e la loro squadra di basket – ha raccontato – è riuscita, grazie alla potenza di questi sogni, ad arrivare tra le squadre nazionali.
E proprio questo è stato il leit motiv di tutto l’incontro: il sogno e la speranza di un futuro migliore.
Il sogno e la speranza sono e sono stati il concime della formazione culturale dei giovani del campo, che vedono la cultura, lo sport, l’arte, la letteratura come una forma di resistenza alla violenza della guerra, come strumento di cambiamento anche a lungo termine di una mentalità bellica.
Al Saifi ha raccontato che sua nonna, in tempi in cui la parola scritta di libri e giornali era vietata, nascondeva i libri sotto la terra per poi attingere segretamente al loro senso e farne un veicolo di coesione sociale ed è stato proprio questo a spingerlo a diventare uno scrittore.
Alla conclusione del racconto di Aysar Al Saifi moltissime domande sono arrivate dai ragazzi che hanno voluto sapere tante cose: se Al Saifi aiuta ancora i giovani del campo, se ritiene attendibili e complete le notizie diffuse dai media occidentali, se Al Saifi teme una forma di cancellazione della cultura palestinese, se lo scrittore ha mai perso la speranza.
Denominatore comune delle risposte di Al Saifi è stato l’auspicio di un futuro di pace, di un futuro forgiato a partire da una trasformazione culturale, di un progresso guidato da donne e uomini amanti della letteratura e delle arti, in quanto espressione di sogno e speranza.
La parola e la cultura, ha più volte ribadito lo scrittore, sono gli unici strumenti per cambiare le menti e per non trasformare mai gli oppressi in oppressori ed è proprio per questo che, salutando i commossi studenti del Liceo Carlo Troya, ha voluto dare una nuova accezione al termine “militante” che, per lui e dal 24 gennaio 2025 anche per i ragazzi del Carlo Troya, significa “combattente per i sogni”.
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