«Ex Ilva, bisogna tutelare l’indotto»: l’intervista a Enzo Cesareo

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TARANTO – Avviata la procedura per la cessione degli impianti, il Governo ha destinato nuovi fondi per la continuità produttiva degli impianti siderurgici del Gruppo ex Ilva. Ma i tempi sono lunghi e il sistema di filiera dell’acciaio, soprattutto quello locale, è in sofferenza. Ne abbiamo parlato con Enzo Cesareo che guida la neonata Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Brindisi-Taranto, dopo aver ricoperto l’incarico di presidente degli industriali ionici.

Come valuta il recente decreto del Governo che ha stanziato altri 250 milioni per la continuità produttiva e occupazionale, recuperandoli dal patrimonio destinato di Ilva in As per le bonifiche ambientali?

«In maniera positiva. È ovvio che, nelle more della vendita la cui procedura è in corso, se lo stabilimento non produce e se non aumenta la produzione continuerà a perdere. E bene ha fatto il Governo a mettere in condizioni la fabbrica di arrivare al momento della cessione sempre più in salute. Certo noi, come Camera di Commercio, auspichiamo e siamo certi anzi, che questi fondi verranno utilizzati anche per ristorare le imprese dell’indotto».

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Per il completamento dell’operazione di vendita i tempi non sono certi, ma certamente non sono brevi però…

«È una procedura abbastanza complicata e dobbiamo cercare di evitare gli errori del passato. Noi siamo confidenti che i commissari e il Governo vorranno confrontarsi anche con gli stakeholders prima di arrivare al momento della cessione. Chiederemo anche in questo senso un incontro dopo che avranno guardato attentamente le carte e avranno avuto le risposte dai player».

Che giudizio ha sulle offerte presentate?

« Per quello che ho potuto verificare, le offerte sono anche maggiori di quelle che ci aspettavamo. Personalmente non mi dispiacerebbe se dell’operazione facesse parte anche una cordata italiana insieme ai player stranieri, anche perché in qualche modo sarebbe garanzia di un percorso diverso da quello che è avvenuto nel passato. Ricordo che in passato, nel momento in cui il gioco si è fatto più duro, penso allo scudo penale, i gruppi stranieri hanno pensato bene di andar via eliminando così anche il competitor. A me personalmente piacerebbe che ci fosse un’impresa italiana nella partita, atteso che il Governo ha già dichiarato che non può e non vuole entrare nella società e che si accontenta di esercitare la golden share per controllare il processo. Noi crediamo che non sia sufficiente, però capiamo anche che non è detto che poi il privato voglia avere un Governo ingombrante all’interno della compagine».

Quindi niente Stato nella squadra aziendale?

«Non credo che lo Stato sia un buon imprenditore: ha dimostrato di non essere bravo nel gestire le imprese e le imprese private devono confrontarsi sul mercato. Credo però che il processo andrebbe controllato e non mi dispiacerebbe che vi fosse una impresa italiana nella cordata, non solo per campanilismo ma proprio per questione di mentalità».

I grossi gruppi italiani hanno offerto però solo di acquisire parziali asset del Gruppo…

«Non è esclusa una chiamata alle armi da parte della presidente del Consiglio. Magari qualche nostra impresa potrebbe affiancarsi a gruppi stranieri. Staremo a vedere…».

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Intanto come si governa questa fase di transizione?

«È un momento delicato. I fondi sono pochi, i tempi sono lunghi. Io mi sento di fare senza piaggerie un plauso alla struttura commissariale e anche al ministro Urso per averci messo la faccia e avere avuto il coraggio di mettere in piedi un management solido e competente. Gli arretrati cominciano ad essere consistenti e anche l’indotto vive di nuovo tempi difficili».

Un ultimo passaggio proprio sull’indotto. Come siamo messi?

«È un momento di nuovo complicato. Le imprese sono in estrema sofferenza, nonostante qualche apertura da parte di società di factoring che però ovviamente fanno scontare il rischio cliente. L’indotto ha bisogno di un immediato ristoro, anche perché tra l’altro queste difficoltà molto spesso vengono trasferite poi ai lavoratori. L’ex Ilva non deve essere un elemento di nocumento, ma deve essere opportunità per questo territorio. Per questo siamo soddisfatti dell’arrivo di altri 250 milioni per la continuità produttiva. Ora serve che questa liquidità arrivi immediatamente alle imprese che hanno bisogno di pagare i loro lavoratori. Poi si vada aventi con la procedura di vendita: che vinca il migliore e che, la dico citando il titolo di un vecchio film, io speriamo che me la cavo…».



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