Attenzione alla Germania: Dai Sondaggi alla Volkswagen, Scopri Perché!

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Per mia natura e per una certa predisposizione, sono sempre stato scettico nei confronti di chi ostenta troppa onestà, soprattutto dopo periodi di repressione prolungati. Prendiamo ad esempio la glasnost di Gorbaciov, iniziata come una benedizione ma finita con Eltsin e un colpo di stato. In questo contesto, il recente cambio di rotta anti-woke di Mark Zuckerberg mi sembra almeno in parte forzato.



Proprio in questo clima di confusione e pericolo, tipico di un impero al tramonto, si inserisce la campagna elettorale tedesca, sorvegliata attentamente dall’alleato fidato di Donald Trump. L’intervista di Elon Musk a Alice Wiedel, leader dell’Afd, ha fatto il giro del mondo, così come le sue dichiarazioni: Adolf Hitler era un comunista antisemita e Angela Merkel ha rovinato il Paese. La prima affermazione sembra una semplificazione eccessiva e fuori contesto, una provocazione evidente per calmare gli animi su un argomento ancora molto sensibile. La seconda appare come un espediente per attrarre i voti del Cdu in vista delle elezioni del 23 febbraio.

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L’ultimo sondaggio Insa è molto chiaro: Cdu-Csu al 30%, Afd al 22%, Spd al 16% e Verdi al 13%. Ogni voto è cruciale, specialmente in un contesto orwelliano dove l’ex Commissario europeo Thierry Breton si esprime così in televisione: Abbiamo agito in Romania, se necessario lo faremo anche in Germania. Facciamo rispettare le nostre leggi in Europa, quando queste sono a rischio di essere eluse.

Attenzione al vero scenario in cui si svolgeranno queste cruciali elezioni. Nel quarto trimestre del 2024, in Germania ci sono state 4.215 insolvenze aziendali, un aumento del 16,8% e il numero più alto dalla crisi finanziaria globale del 2008. Inoltre, negli ultimi due anni, il numero di disoccupati in Germania è aumentato al ritmo più alto dalla Riunificazione, costantemente su base mensile, mentre l’Unione Europea parlava di un soft landing e assenza di rischi recessivi e il Dax stabiliva nuovi record quasi ogni giorno. Cosa succederà se arriverà una recessione?



Ricordate il caso Volkswagen? L’annuncio di chiusura di stabilimenti in patria per la prima volta nella storia del gruppo è stato seguito da un accordo con i sindacati che ha portato l’intera vicenda a una conclusione inaspettata. Recentemente, ho scoperto che l’8 gennaio Volkswagen ha annunciato un taglio di 300 milioni di euro sui salari dei propri manager entro il 2030, secondo quanto riportato da Gunnar Kilian, membro del consiglio di amministrazione per le risorse umane, al giornale locale Braunschweiger Zeitung. Profilo bassissimo. Tutto ciò mentre sono previsti 35.000 licenziamenti nelle fabbriche del gruppo nello stesso periodo, e una riduzione di capacità di 734.000 unità in tutti gli stabilimenti del marchio.

Il problema? Proprio il basso profilo delle notizie, e il fatto che un taglio sui salari dei manager era già apparso come un segnale premonitore (ignorato) della crisi di Credit Suisse. Potrebbe esserci un cigno nero dietro l’angolo, capace di scuotere l’eurozona come mai prima d’ora, persino più dello spread del 2011? In questo contesto, un dato è particolarmente inquietante: solo a dicembre, i prestiti di azioni per lo short selling su titoli Monte dei Paschi sono aumentati dallo 0,07% al 5,2% del capitale, e su azioni Commerzbank dall’1,17% al 5,78%, secondo S&P Global Market Intelligence. Chi scommette contro l’epicentro dell’M&A europeo, apparentemente noncurante del rally? E come se fossero certi che qualcosa andrà male, come l’epilogo di una scommessa ribassista su un incrocio azionario che, ancora oggi, sembra coperto nelle sue mosse.

Restano dubbi. L’epilogo della vicenda dell’ingegnere iraniano solleva interrogativi e rafforza la mia sensazione di una variabile in cauda venenum dell’Amministrazione Biden che potrebbe danneggiare l’Europa e, in particolare, l’Italia, ben più delle ultime sanzioni contro gas e petrolio russi.

Non lasciatevi trascinare dai facili entusiasmi. Il rally post-elettorale è ufficialmente terminato, molto più di quanto non suggerisca questo grafico, che mostra come i futures sullo S&P 500 all’alba di ieri, quando hanno iniziato le negoziazioni e l’Asia ha suonato la sua campanella, sono scesi sotto la soglia psicologica di 5.800 punti per la prima volta dal 5 novembre scorso.

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Ciò indica che il tanto decantato rally azionario, innescato e supportato dalla vittoria di Donald Trump, è già evaporato. Deflazionato. Non lo avevate notato, vero? State attenti alle conversioni istantanee sulla via di Damasco, una destinazione che, peraltro, non è molto raccomandabile ultimamente.

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Tags: Elon Musk, Donald Trump, Mark Zuckerberg



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