«Sugli abusi è in arrivo il primo studio nazionale»

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Chiara Griffini, presidente del Servizio nazionale per la tutela minori della Cei – Agenzia Romano Siciliani

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«Ciò che ci proponiamo è un’azione di crescita per la Chiesa, unita sicuramente a verità e giustizia». Chiara Griffini, presidente del Servizio per la tutela minori della Cei, racconta la prima ricerca a livello nazionale sugli abusi commessi dai chierici in Italia che è in corso di preparazione. «Certo – prosegue la psicologa della provincia di Lodi – fare luce sul fenomeno nel tempo significa anche potenziare la prevenzione, che vuol dire in prima istanza protezione e salvaguardia dei minori, per avere ambienti ecclesiali sicuri e affidabili. Perché sono le stesse vittime a chiederci che a nessuno possa accadere quanto loro stesse hanno vissuto».

Chiara Griffini, presidente del Servizio nazionale per la tutela minori della Cei

Chiara Griffini, presidente del Servizio nazionale per la tutela minori della Cei – Agenzia Romano Siciliani

Ufficialmente l’iniziativa che è stata approvata dall’Assemblea generale dei vescovi italiani nel 2022, insieme ad altre quattro Linee di azione, si chiama “studio pilota” e riguarderà i casi segnalati e trattati dalle diocesi fra il 2001 e il 2021. La ricerca è affidata al Centro per la vittimologia e la sicurezza dell’Università di Bologna e all’Istituto degli Innocenti di Firenze. E ha due fasi: una di raccolta dei dati; e l’altra definita “sapienziale” per affinare l’azione della Chiesa in materia di tutela minori e adulti vulnerabili. «Lo studio dovrebbe concludersi fra la fine del 2025 e l’inizio del 2026», annuncia Griffini.

Perché la scelta di chiamarlo studio pilota?

Perché intende essere l’inizio di un percorso che punti ad affinare criteri per ulteriori ricerche. Non vogliamo che sia lasciato nulla di intentato affinché la tutela sia sempre più all’altezza di una Chiesa dal volto generativo. Lo studio intende partire dal far luce sull’emerso e testimoniare la consapevolezza della comunità ecclesiale di guardare fino in fondo ciò che è avvenuto per capire come si è risposto in modo da migliore le sue azioni.

Perché è stato deciso di concentrarsi sull’ultimo ventennio?

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È a partire dal 2001 che la normativa canonica ha avuto importanti innovazioni che hanno reso più organico il trattamento dei casi. Partiamo dallo studio di quanto emerso in sede istituzionale per conoscere il fenomeno sempre più e meglio, fare analisi statistiche, criminologiche, sociologiche, per continuare poi con un approccio sempre più globale e proattivo ai fini di conoscere la verità, per apprestare strumenti di giustizia e approntare strumenti di tutela sempre più adeguati fino ad arrivare a intercettare il sommerso.

In alcune indagini indipendenti compiute in altri Paesi, lasciano perplessi le cifre, soprattutto quelle ricavate attraverso le proiezioni.

Il nostro studio riguarderà i casi pervenuti alle diocesi: quindi analizzerà segnalazioni certe, pertanto realmente giunte.

Nella “perizia” commissionata dalla diocesi di Bolzano-Bressanone si sono consultati gli archivi. Che cosa avverrà a livello nazionale?

Dal momento che lo studio pilota sarà sui casi segnalati e trattati dagli ordinari diocesani, saranno quelli conservati in forma istituzionale presso le diocesi. In questi mesi gli enti di ricerca hanno elaborato strumenti che consentiranno di raccogliere il materiale. Un primo momento sperimentale è già terminato e ha visto la partecipazione di sei diocesi che hanno testato il processo. Sarà un lavoro rigoroso e fondato su un chiaro metodo scientifico.

Perché affidarsi all’Università di Bologna e all’Istituto degli Innocenti?

Sono due istituti di provata affidabilità nazionale e internazionale e li definirei complementari. Il Centro per la vittimologia e la sicurezza ha una matrice accademica; l’Istituto degli Innocenti collabora con l’Osservatorio nazionale di contrasto alla pedofilia e alla pedopornografia presso il Dipartimento per la famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri e svolge un’ampia attività formativa.

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Lo studio si inserisce anche nel Cammino sinodale delle Chiese in Italia.

Certamente. Perché entrambi rientrano nel rinnovamento ecclesiale che si sta vivendo. Nello strumento di lavoro del Cammino sinodale ci sono vari riferimenti alla tutela dei minori, al tema della rendicontazione come stile ecclesiale, alla necessità di essere una Chiesa accanto ai minori e agli adulti vulnerabili.

I primi dati sono già stati resi noti nelle due rilevazioni nazionali che fotografano l’attività annuale dei Servizi territoriali per la tutela dei minori. Nell’ultimo si indicavano 32 casi segnalati nel 2022 con 54 presunte vittime.

In tutte le diocesi abbiamo un referente. E all’ultima rilevazione hanno partecipano 190 diocesi su 206. Nella rete diffusa in tutto il Paese sono impegnati oltre mille professionisti formati e motivati. Stiamo declinando nel concreto una delle dimensioni che sono proprie della Chiesa sinodale: il lavoro in équipe. Serve un approccio interdisciplinare e integrato. E, come ripete papa Francesco, nessuno può sentirsi esente da dare il proprio contributo.

Come le Chiese in Italia sono vicine alle vittime?

Prima di tutto, con i Centri di ascolto dove penso si possa percepire serietà, credibilità e accoglienza e dove si mostra una maggiore coscienza di questa piaga anche da parte dei vescovi stessi. Chi si rivolge al Centro viene informato che la segnalazione all’autorità ecclesiastica non sostituisce quella all’autorità civile: anzi, viene incoraggiato il ricorso alla magistratura. Inoltre, nel 2023 la Presidenza e la Segreteria generale della Cei hanno voluto un gruppo consultivo permanente di vittime di abusi e di loro familiari. Da questo gruppo è nata la riflessione della Giornata nazionale di preghiera dello scorso novembre. Tutto ciò vuole dire alle vittime che non devono avere paura o nascondersi. Al loro fianco c’è una Chiesa convinta che anche un solo caso di abuso sarà sempre di troppo. E c’è una Chiesa consapevole che la cura delle ferite dovute all’abuso non finisce con il procedimento giudiziario ma richiede accompagnamento, vicinanza e necessità di ritessere un’appartenenza ecclesiale che si è lacerata.

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