Mps-Mediobanca, i rischi e le prospettive dell’ultimo “campioncino” nazionale

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Il dato di partenza per comprendere l’attuale scontro che coinvolge le principali banche italiane è l’enorme mole di profitti che hanno realizzato negli ultimi anni.

Si tratta di profitti però che si sono polarizzati nei bilanci dei pochissimi istituti più grandi, solerti a tradurli in lauti dividendi per gli azionisti, a cominciare naturalmente dai maggiori. Dunque, ora più che mai le dimensioni contano.

Da questa considerazione discende un’ipotesi plausibile. L’offerta pubblica di scambio lanciata da Unicredit, peraltro insieme al tentativo di scalata di Commerzbank, e l’avvicinamento tra Generali e Natixis hanno rappresentato l’evidente tentativo di internazionalizzare il credito italiano, accentuando ancor di più il ruolo dei grandi fondi statunitensi, a partire da BlackRock, ed europei, in particolare francesi.

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Di fronte a una simile offensiva c’è stata la reazione del nucleo di azionisti originario di Mps che aveva concepito, di fatto, l’acquisizione di Bpm per dar vita a un “campioncino” nazionale, capace di farsi sentire nella già ricordata raccolta dei dividendi, puntando a una taglia tale da inserirlo nel novero dei soggetti monopolistici del risparmio.

Sono emerse così le dure prese di posizione di Bpm contro Unicredit e l’opposizione di Mediobanca all’operazione Generali-Natixis. Ora, questa resistenza nazionale fa un ulteriore salto di qualità con l’offerta pubblica di scambio di Mps nei confronti di Mediobanca per raggiungere una forza destinata a contrastare Unicredit e, soprattutto, a distogliere Generali da Natixis e, magari, anche a scalarla.

A questo riguardo è bene ricordare però che l’intera operazione di “nazionalizzazione” del credito tramite Mps, Bpm e Mediobanca passa attraverso un nocciolo di azionisti relativamente ristretto dal momento che Delfin dei Del Vecchio e Caltagirone hanno il 15% in Mps e il 26% in Mediobanca, che a sua volta possiede il 13% di Generali. Alla luce di ciò sarebbe forse opportuno tener conto di alcune criticità.

La prima consiste nel fatto che Mps, che capitalizza 11 miliardi euro, con il ministero dell’Economia all’11% ed è già impegnata nell’operazione Bpm, lancia un’offerta su Mediobanca che viene valutata dalla stessa offerta oltre 13 miliardi di euro; dunque, siamo per l’ennesima volta di fronte a una strategia molto italiana, e molto pericolosa, di una banca più piccola che vuole conquistare una banca più grande.

La seconda notazione rende ancora più problematica la prima. Se Mps avesse realmente la volontà di scalare, tramite Mediobanca, anche Generali, il boccone potrebbe essere davvero indigesto. In altre parole un “nocciolino”, della cui liquidità di medio periodo non è semplice avere dati certi, attua una colossale “guerra” finanziaria rispetto alla quale dovrà fare i conti con le fortissime resistenze dalla già ricordata finanza internazionale e con costi che, proprio per effetto di questo conflitto, rischiano di esplodere.

È difficile immaginare che Unicredit, con il sostegno di BlackRock, molli facilmente, e che i francesi si ritirino in buon ordine da tutte le partite aperte sul fronte italiano. In quest’ottica il pericolo più avvertibile è costituito dal fatto che un eventuale fallimento dei tentativi della compagine Delfin-Caltagirone, balcanizzino il sistema bancario italiano e finiscano proprio per rendere più facile l’acquisizione a prezzi stracciati di banche importanti a opera del capitale finanziario statunitense.

Del resto, un “campioncino” nazionale, costosissimo e, al contempo, isolato nel quadro internazionale della gestione del risparmio risulta assai difficile da concepire persino con la protezione nazionalistica del Governo Meloni. Rischiamo di avere, di nuovo, dei “simpatici compari del quartierino” e una ripetizione della terribile esperienza di Antonveneta. 

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento. Il suo ultimo libro è “Nelle mani dei fondi” (Altreconomia, 2024)

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