La farsa della sostenibilità aziendale: quando gli sprechi si nascondono sotto il tappeto

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Tante imprese, anche di piccole dimensioni, si sono lanciate negli ultimi anni nella stesura del proprio bilancio di sostenibilità, quasi fosse un passaggio obbligato per dimostrare al pubblico di essere “green” o “responsabili”. Sembra diventata una moda, un modo per lavarsi la faccia di fronte a storture ben più gravi nella gestione aziendale, che nulla o poco hanno a che fare con la sostenibilità ambientale o sociale. Basta grattare la superficie per scoprire che certe aziende, oltre a considerare la sostenibilità un costo (e non un investimento), si limitano a ostentare certificazioni e slogan “eco” o “social”, mentre continuano a perpetuare logiche poco etiche nei rapporti con fornitori e dipendenti, nonché nei confronti delle stesse banche da cui si lasciano gravare di costi inutili.

Il tema della sostenibilità aziendale sta diventando un’operazione di maquillage perfetta per trasformare aziende poco etiche in paladine del progresso sociale e ambientale. Ma quanti di questi bilanci di sostenibilità rappresentano davvero un cambiamento concreto, e quanti, invece, sono solo un’arma di distrazione di massa per distogliere l’attenzione da bilanci opachi o falsi?

La sostenibilità non dovrebbe essere una moda da sfoggiare in eventi di marketing; è un impegno serio, che implica una gestione attenta delle risorse in ogni aspetto della vita aziendale, compresi gli sprechi economici. E qui emerge un’ipocrisia che pochi vogliono denunciare: le aziende che vantano bilanci di sostenibilità “green & social” sono spesso le stesse che accettano supinamente e con consapevolezza costi bancari spropositati, mantenendo una relazione di sudditanza psicologica con gli istituti di credito.

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Le banche, oggi più che mai, impongono condizioni onerose agli imprenditori, che raramente si prendono il disturbo di negoziare. Perché? Perché il sistema bancario ha costruito negli anni un clima di superiorità psicologica: un imprenditore che si presenta a un tavolo per rivedere le condizioni di un finanziamento o chiedere una riduzione delle commissioni viene spesso trattato con sufficienza. Così, si accetta senza fiatare di pagare tassi più alti, spese di gestione assurde e persino penali vessatorie. Ma quando si tratta di controllare il comportamento dei dipendenti, la severità diventa granitica. C’è chi non esita, ad esempio, a ridurre o negare incentivi se si “osano” utilizzare mezzi di trasporto personali in contrasto con le linee guida “verdi” aziendali, o imporre sanzioni se un lavoratore lascia una luce accesa qualche minuto oltre l’orario di lavoro. Eppure, queste stesse aziende chiudono un occhio di fronte a costi bancari astronomici o sprechi strutturali nella gestione finanziaria, dimostrando un rigore selettivo che lascia emergere tutta l’ipocrisia di fondo.

Questo doppio standard è emblematico: chi guida l’azienda è disposto a farsi strozzare dalle banche, ma pretende un controllo ferreo sul dipendente, quasi a voler compensare la propria debolezza.

Un bilancio di sostenibilità che si rispetti dovrebbe considerare anche gli sprechi finanziari. La sostenibilità non è solo un tema ambientale o sociale: è anche economico. Qual è l’impatto dei costi bancari eccessivi sulla capacità di reinvestire in innovazione o nella crescita del personale? Quante risorse vengono sottratte alla formazione dei dipendenti o alla tutela dell’ambiente per ingrassare i profitti di istituti di credito che già macinano utili stellari?

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Eppure, pochi imprenditori hanno il coraggio di affrontare questi nodi. Continuano a cedere ai diktat bancari, mentre ostentano il loro impegno per l’ambiente e per il sociale, sfoggiando certificazioni che raccontano una mezza verità.

La sostenibilità vera è coraggio. È mettere in discussione il sistema, rompere la sottomissione psicologica alle banche, rifiutarsi di pagare costi inutili per inerzia o paura. È anche coerenza: se si pretende rigore dai propri dipendenti, si deve essere altrettanto rigorosi nel gestire i conti aziendali. Non si può parlare di sostenibilità mentre si alimentano sprechi sistemici. Non si può pretendere attenzione ai dettagli dai propri dipendenti mentre si chiudono gli occhi di fronte alle condizioni capestro imposte dal sistema bancario.

Il primo passo è un cambio di mentalità: negoziare, rinegoziare e pretendere condizioni più giuste. Il secondo è includere nel bilancio di sostenibilità una voce specifica sugli sprechi finanziari, a partire dai rapporti con le banche. Solo così le aziende possono essere credibili quando parlano di sostenibilità. Tutto il resto è solo una copertura mediatica. E l’ipocrisia, si sa, non è mai sostenibile.



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