c’era una volta la scuola. La rabbia dei giovani tra rime, insulti e colpi di coltelo – Il Tempo

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C’era un tempo in cui la scuola era un luogo ambito e rispettato, fatto di insegnanti motivati e ragazzini perbene che si abbeveravano di nozioni e conoscenza. Poteva non piacere. Ma era comunque un’istituzione inviolabile dove la maggior parte degli alunni rigava dritto e i pochi intemperanti venivano puniti con un 4 in condotta o con la sospensione. Oggi le scuole paiono schegge impazzite. Si entra con l’elmetto e non si sa se si uscirà vivi. I ragazzini si presentano in classe armati per intimorire i compagni o fare i gradassi. Qualcuno con la pistola scacciacani comprata su internet con gli spicci di mamma. Qualche altro con il coltello sfilato dalla cucina di casa da far luccicare sotto il banco. Sono mossi dalla rabbia. Sono intrisi di indifferenza. Mollano pugni e spintoni. Minacciano sfracelli. E passano dall’aggressione verbale a quella fisica in un battito di ali vessando il compagnetto di turno fino a quando il poveretto non crolla annichilito, implorante e immobile, incapace di reagire, figurarsi sporgere denuncia. Una preside di un istituto tecnico napoletano sta pensando di introdurre metal detector agli ingressi della scuola per fermare questa impennata di violenza. Si tratta solo di un progetto ma qualcuno ci spera già. Funzionerebbe come negli aeroporti o agli ingressi dei grandi musei. Passi lo zaino sotto le telecamere e se c’è una lama conficcata tra la focaccia e il quaderno di matematica zeppo di 4 scatta l’allarme rosso e la cacciata. Da una parte gli studenti veri, dall’altra i guerrafondai. Da capire solo chi farebbe i controlli, non ce li vedo i bidelli a dirimere il traffico di una mandria di giovinetti scalmanati. La notizia è passata in sordina ma è sintomatica del clima che si respira in certe scuole. Non più scuole, mi correggo. Ma trincee di guerra dove vige la legge del più forte e vince chi resiste di più.

 

 

I presidi fanno quello che possono per arginare l’ondata (in fondo c’è sempre un governo da tirare in ballo se le cose non funzionano) ma molti prof hanno mollato il colpo. Sono loro, a conti fatti, la categoria professionale che più paga lo scotto di una generazione di adolescenti ribelli cresciuti a social e violenza. La maggior parte soffre di burnout e vive in perenne depressione. Gli altri sono incazzati, hanno perso interesse e motivazione. Non hanno torto: le aggressioni verbali e fisiche contro di loro sono state 133 solo nel 2023… recentemente una prof del milanese, dopo una lezione, si è beccata un pugno in faccia da uno studente esagitato ed è talmente scioccata che non vuole più mettere piede a scuola. Un altro è stato braccato nei corridoi, gettato a terra e poi picchiato dal ragazzo che aveva rimproverato in classe per un compito, sono dovuti intervenire i carabinieri per salvarlo. E se non sono studenti, gli aggressori sono genitori come il padre di una ragazzina svogliata che ha chiamato in disparte un docente e lo ha preso a botte senza ritegno perché aveva liquidato troppo in fretta la moglie all’ultimo colloquio… Mi pare di poter dire che questa impennata di violenza nelle scuole si accompagni a un progressivo scollamento dei ragazzi dalla vita vera. Non vivono, non escono, non sognano. Forse non baciano neanche più. Io perdevo ore ad aspettare all’uscita da scuola una compagna bellissima di nome Maria Luisa Trussardi solo perché mi aveva guardato altezzosa mentre leggevo un tema alla classe e mi ero perdutamente innamorato di lei. Non c’era nulla di virtuale in quell’infatuazione. Ed era così per ogni emozione. Vivevamo immersi nel momento, pronti a sfinirci per una partita di calcio all’oratorio o a vendere l’anima per un pomeriggio di goliardia e cazzeggio al parco. Niente di tutto questo mi pare tocchi la nuova generazione di adolescenti. Tutti immersi in un telefonino scialbo che contiene miliardi di vite ma non ne offre una credibile. Proibire loro di uscire è fargli un favore perché cercano solo una stanza di casa per connettersi e provare false emozioni. L’unico ricatto vero sarebbe levargli il cellulare ma c’è sempre una diavoleria tecnologica dietro l’angolo su cui ripiegare e non mi pare che le proibizioni abbiano mai funzionato.

 

 

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I giovani non hanno voglia. Non hanno impegni. Non hanno genitori che li stimolano e neppure educatori che li guidano. Vivono la stagione della rabbia come pellegrini in balia di uno tsunami ma non sanno gestire i conflitti interiori neppure discutere tra loro una tesi o sostenere un litigio. Il massimo del confronto è una pratica che si chiama dissing (mi dicono): io ti offendo via social e tu replichi coprendomi di improperi. Dopodiché si passa ai coltelli. Temo non basterà il latino a placare gli animi di questa gioventù evanescente. E anche le punizioni introdotte dall’ottima riforma Valditara per arginare i vandali saranno solo deboli rimedi. «Chi rompe paga» suona ormai come una cantilena rotta, perché sono sempre i genitori a pagare l’obolo e il peggio è che lo fanno di malavoglia convinti che i loro pargoli siano vittime innocenti di docenti burberi e scuole ostili. Proporrei ai ragazzi una gita a San Vittore o in un qualunque carcere italiano per toccare con mano gli effetti collaterali di chi usa i coltelli, ma rischio l’accusa di fascismo. Dunque non resta che arruolarli tutti nei comuni. Un pochino di ore a spazzare marciapiedi luridi e cacche di cane e vedrai che il vizio dei coltelli sparisce insieme alla monnezza di città.





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