Chi è al-Masri, l’uomo che ha scosso a livello internazionale il buon nome dell’Italia? Ha dichiarato di aver attraversato la frontiera italo-svizzera senza un visto, con un’auto presa a noleggio in Germania, peraltro accompagnato da guardie armate. Dopo due giorni di carcere a Torino, è stato accompagnato nel suo Paese – la Libia – su un aereo dello Stato italiano.
Non è un generale, ma un miliziano, ex autista di taxi prima di imbracciare le armi. Najim Osama al-Masri Hbeish faceva parte della milizia islamista Dara’ (“Scudo”) inserita nelle strutture del governo libico al tempo del premier Sarraj, con ingaggi ben remunerati.
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L’incarico che ricopre attualmente è di Capo della polizia giudiziaria di Tripoli, dopo aver allargato, dal 2021, le sue competenze su molti centri di detenzione, oltre al tristemente noto centro di Mietiqa, che dominava già dal 2016. La sua milizia ha partecipato a Tripoli, nell’agosto 2023, agli scontri con altre milizie ingaggiate dallo stesso governo Dbaiba, provocando l’uccisione di 45 persone e il ferimento di altre 164, in gran parte civili intrappolati tra i gruppi belligeranti. Impunito.
Le Commissioni d’indagine dell’Onu hanno accusato ripetutamente la sua milizia di atrocità compiute sui migranti trattenuti nelle carceri, ma soprattutto dello sfruttamento schiavistico dei malcapitati: stupri e rivendita di esseri umani ai trafficanti in vista di nuove partenze sui barconi, ma semplicemente in vista di nuovi respingimenti in Libia.
Il 18 gennaio la Corte Penale Internazionale ha spiccato un mandato di cattura nei confronti di al-Masri, che, nel mentre, ha pensato bene di farsi un giro clandestino in auto per l’Italia. Domenica la Digos di Torino lo ha arrestato in albergo. In carcere è rimasto, appunto, solo due giorni, dopo di che è stata rapidamente imbastita una via giudiziaria per la sua liberazione, per “vizio di forma”: la mancata comunicazione preliminare al Ministero della giustizia da parte del Magistrato. Un aereo di Stato italiano lo aspettava – pare sin dal mattino – all’aeroporto di Caselle per accompagnarlo a Tripoli.
Sui social libici sono stati postati i video dei festeggiamenti di massa per il suo arrivo trionfante a casa, con cori di grida da stadio e frasi di scherno contro le autorità italiane, «obbedienti al pugno dei veri uomini» (qui).
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I retroscena parlano di telefonate di fuoco da Tripoli all’indirizzo di Roma, tra domenica e lunedì, per salvare l’uomo ricercato dalla giustizia internazionale per crimini contro l’umanità. Una giustizia italiana, in questo caso, super veloce – mai vista in pratica in passato – ha decretato: “arresto irrituale” con “immediata scarcerazione”.
Lui stesso ha sostenuto di essere entrato in Italia senza alcun visto d’ingresso, evidentemente sicuro di una particolare “immunità”. Dunque, un clandestino – tanto si tuona in Italia contro i clandestini! – evidentemente un clandestino di lusso e per giunta scortato da guardie armate: e con quale liceità?
È ben chiaro che il cavillo giuridico immediatamente trovato è stato studiato a tavolino e per volontà politica del Governo di Roma. Il Ministro Nordio non ha risposto alle sollecitazioni della procura di Roma per 24 ore, facendo trascorrere i tempi della carcerazione preventiva. Il provvedimento di espulsione del Ministro degli interni Piantedosi – mai eseguito con tanta solerzia – ha poi richiesto il pronto accompagnamento di al-Masri su un volo di Stato, gratis. La foglia di fico è stata apposta in questi termini: «Non era possibile altrimenti, perché il soggetto aveva la scorta armata e non poteva prendere un volo di linea»: giusto, ma noi avremmo suggerito un gommone.
Le opposizioni in Parlamento hanno chiesto di ascoltare la premier Meloni, ma si è negata delegando il Ministro dell’interno. Il Ministro della giustizia ha parlato lo stesso giorno del fattaccio in Parlamento, ma non ha trattato il tema e non ha risposto agli interventi dell’opposizione tutta, da Renzi a Fratoianni. «È assurdo – l’Italia è così -, un Paese a sovranità limitata»: sono state le parole di Benedetto Della Vedova.
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La Corte Penale Internazionale ha chiesto spiegazioni a Roma su questo rilascio compiuto in violazione di un mandato di cattura internazionale, consegnato alle autorità consolari italiane all’Aja lo stesso giorno della emissione, il 18 gennaio. (per leggere in inglese il documento della CPI: qui). Il governo Meloni procura una figuraccia internazionale all’Italia: Roma straccia lo Statuto di Roma!
Potrebbe persino trattarsi di un’operazione di rodaggio per un altro caso che ha scosso l’opinione pubblica internazionale ed agitato le cancellerie occidentali: il mandato di cattura per crimini di guerra e crimini contro l’umanità spiccato nei confronti del premier israeliano Netanyahu.
Lo scorso novembre, i governi di Roma, Parigi, Germania e Londra – che si sono sempre riempiti la bocca di paroloni sui diritti umani e sul rispetto delle istituzioni di diritto internazionale – hanno arzigogolato su congetture e distinguo a dir poco vergognosi. La Francia è arrivata a barattare con l’imputato in persona la sua incolumità in cambio di un ruolo di Parigi nell’accordo per il cessate il fuoco in Libano.
I due casi di mandato di cattura in studio, ci mostrano che anche nei Paesi “civili” e “democratici” ciò che conta sono gli interessi economici e geopolitici: vendita di armi, di gas e di petrolio e rigetto dei migranti, in primo luogo.
Si palesa un doppio standard che solleva il velo mal posto sulla natura ipocrita di una diplomazia che consegue agli interessi e alle alleanze strategiche, non certo ai valori tanto sbandierati.
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