Affitti on line di B&B e case vacanze: ora la camorra investe nel turismo

«Un appartamento meraviglioso, impeccabile in tutto. Oscar eccezionale come sempre, disponibile e gentile». Quello che l’ignaro turista, autore della recensione su Booking, non sapeva e non poteva sapere è che dietro quel volto affabile e professionale si nascondeva il cugino omonimo di Oscar Pecorelli, ras e killer del clan Lo Russo in carcere dal 2010, che nonostante la lunghissima detenzione non soltanto era riuscito a mantenere ben salde le redini della cosca, ma ne aveva persino ampliato il raggio di azione, investendo sul turismo. E proprio la casa vacanze, a due passi dall’aeroporto di Capodichino era diventata un B&B, uno dei «pallini» del boss di Miano: «Stai lavorando?», domandava pochi mesi fa ignaro di essere da tempo sotto intercettazione. Rassicurante la risposta del parente incaricato della gestione: «Ho già una decina di prenotazioni per queste due settimane. Deve venire una signora adesso, un’altra domani». Gli affari del clan andavano a gonfie vele. B&B e case vacanza, un modo efficace per riciclare e guadagnare. Il clan aveva anche la disponibilità di un altro appartamento in Salita Capodimonte e ora gli investigatori indagano per capire se ci siano altri immobili adibiti a B&B e controllati dal clan. A infliggere un nuovo duro colpo alla cosca conosciuta come clan dei “Capitoni” è stata l’indagine condotta dalla Guardia di Finanza, nucleo diretto dal comandante Paolo Consiglio, e dal nucleo Investigativo centrale di Roma della polizia penitenziaria.

L’inchiesta coordinata dalla Procura partenopea (sostituto Maria Sepe, aggiunto Sergio Amato) ha portato ieri mattina all’esecuzione dell’ordinanza di custodia con cui il gip Rosamaria De Lellis ha disposto la custodia in carcere per Oscar Pecorelli “’o malommo” e la moglie Mariangela Carrozza, mentre Rosario, il figlio 19enne della coppia, se l’è cavata con i domiciliari. Altre tre persone, i presunti fiancheggiatori, restano invece indagate a piede libero. Pecorelli, detenuto nel carcere milanese di Opera, avrebbe mantenuto i contatti con i familiari e con il clan grazie ai videocolloqui regolarmente autorizzati dall’istituto, ma anche tramite messaggi whatsApp e mail.
La famiglia del capoclan, per sfuggire ai controlli, aveva intestato ad alcuni prestanome immobili e imprese di calzature, cuoio, pellame, di lavanderia e di trasporto su gomma. Le società, stando a quanto accertato dalla guardia di finanza, avrebbero quindi frodato il Fisco utilizzando emettendo fatture false per circa 10 milioni di euro. Già a giugno scorso ai Pecorelli erano stati sequestrati beni mobili e immobili per un valore complessivo di 8 milioni di euro. I tre arrestati, tutti assistiti dall’avvocato Domenico Dello Iacono, saranno sottoposti agli interrogatori di garanzia a partire da lunedì.
Nel corso delle indagini la lente della finanza si è focalizzata soprattutto su un appartamento di via Abate Alfiero, strada che sorge a poche centinaia di metri dallo scalo di Capodichino. È grazie a quell’immobile adibito a struttura ricettiva che tra il 2022 e marzo scorso il clan avrebbe ripulito un’imponente quantità di denaro sporco, circostanza confermata dalle intercettazioni, ma anche dalle decine di recensioni pubblicate on line dai clienti: quasi tutti avevano valuto con il massimo punteggio il soggiorno nella struttura. Peccato che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, la casa vacanze sarebbe stata messa a reddito grazie a un articolato schema di prestanome, che ne avrebbero così mascherato l’effettiva proprietà, riconducibile proprio al boss Pecorelli. Insomma, un sistema che avrebbe consentito al clan di recuperare con molta facilità i soldi impegnati nell’investimento.