Le proteste in Serbia vanno avanti da quasi tre mesi

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Lunedì 20 gennaio in Serbia sarebbero dovute ricominciare le lezioni dopo le vacanze natalizie: in molte scuole, però, non sono riprese regolarmente. Gli insegnanti hanno scioperato in segno di solidarietà verso le grandi manifestazioni studentesche che proseguono da quasi tre mesi. Erano cominciate in seguito al crollo di una tettoia nella stazione ferroviaria di Novi Sad, che lo scorso 1° novembre aveva causato 15 morti. L’incidente è stato ritenuto emblematico della diffusa corruzione nel sistema di potere del presidente nazionalista Aleksandar Vučić, del Partito Progressista Serbo (SNS) che governa il paese dal 2012. Nel tempo le proteste si sono allargate diventando esplicitamente antigovernative.

Il governo ha cercato di sminuire lo sciopero, come fa già con le proteste. Secondo il primo ministro Miloš Vučević, dello stesso partito di Vučić, nell’80 per cento delle scuole non ci sono stati problemi. I sindacati contestano questa stima, e dicono che ci sono state conseguenze per metà delle scuole: sarebbero molte, anche perché Vučević aveva minacciato ispezioni e multe per ostacolare lo sciopero.

Gli insegnanti sono l’ultima di varie categorie professionali che hanno aderito alle proteste, che si erano inizialmente diffuse in 40 facoltà universitarie: lo hanno fatto per esempio anche l’associazione di categoria degli avvocati e gruppi di lavoratori dell’azienda statale dell’energia EPS.

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La protesta più grande finora si è tenuta il 22 dicembre nel centro della capitale Belgrado e hanno partecipato almeno 29mila persone. Il movimento studentesco e sociale si identifica con lo slogan “Avete le mani insanguinate” ed è comune vedere mani pitturate di rosso alle proteste. Oltre alle manifestazioni di piazza, ci sono state altre iniziative, come i blocchi stradali.

Una manifestante con le mani colorate di rosso, lo scorso 3 novembre a Belgrado (EPA/ANDREJ CUKIC)

Il 17 gennaio decine di migliaia di persone si sono radunate sotto la sede della tv pubblica RTS, accusandola di raccontare in modo parziale le proteste, assecondando la retorica di Vučić, che sostiene falsamente che i manifestanti siano facinorosi manipolati da paesi o forze estere. La protesta si è svolta in modo particolare: è iniziata attorno alle 19 in assoluto silenzio, mentre ha fatto più rumore possibile alle 19:30, all’ora in cui cominciava il telegiornale, anche utilizzando fischietti. Alcuni dipendenti di RTS sono usciti sul balcone per mostrare sostegno ai manifestanti.

In generale il silenzio è uno strumento di protesta per il movimento, che nelle manifestazioni fa 15 minuti di silenzio, uno per ognuna delle persone morte a Novi Sad. Alle 11:52 (l’ora dell’incidente) sempre più persone hanno iniziato a radunarsi tutti i giorni fuori dal palazzo del governo a Belgrado e fuori dal municipio di Novi Sad. Lo hanno fatto anche venerdì, nella capitale, prima di dare inizio a uno sciopero generale.

Le proteste stanno avendo successo e hanno ottenuto alcuni risultati concreti, come la pubblicazione parziale della documentazione sui lavori svolti alla stazione dove c’è stato il crollo. Hanno alcune peculiarità rispetto a quelle passate, come ha spiegato recentemente un articolo del Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) tradotto in italiano da Internazionale.

La protesta sotto la sede della tv statale RTS, il 17 gennaio

La protesta sotto la sede della tv statale RTS, il 17 gennaio (AP Photo/Darko Vojinovic)

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Le proteste sono rimaste esterne ai partiti dell’opposizione, che comunque le appoggiano, e hanno una leadership orizzontale. Durante la manifestazione sotto la sede di RTS, gruppi di studenti hanno formato cordoni di sicurezza attorno agli edifici governativi nella zona, per proteggerli: una cosa che ha smentito la narrazione che Vučić fa di loro. I manifestanti usano in modo efficace i social network per aggirare l’influenza governativa sugli organi d’informazione e convincere le fasce più adulte della popolazione a non fidarsi ciecamente dei media tradizionali.

Inoltre il movimento non chiede al governo di dimettersi (almeno non in modo esplicito), ma di assumersi la responsabilità della corruzione che è presente in Serbia. «Il nostro obiettivo non è rovesciare il governo, ma ridare vita alle istituzioni e creare uno stato normale. Questo significa che l’attuale esecutivo dev’essere sciolto? Non lo so. Ma ormai in Serbia siamo arrivati al punto in cui “stato” e “partito di governo” ci vengono presentati come sinonimi. Se qualcuno critica il partito al potere, diventa improvvisamente un nemico dello stato», ha detto una delle studentesse intervistate da BIRN.

Attribuire il dissenso a imprecisate interferenze di stati esteri fa parte della tattica con cui Vučić ha risposto alle proteste di questi anni: quelle del 2020, quando il presidente sospese le misure di lockdown a fini di consenso prima delle elezioni per rimetterle subito dopo; quelle del 2021 e del 2024 contro la costruzione di una miniera di litio; e quelle del 2023 dopo due sparatorie di massa. Vučić e i media, su cui il governo ha accresciuto il controllo, accusano di estremismo e definiscono «teppisti» le persone che partecipano a manifestazioni prevalentemente pacifiche, sostenendo che non siano rappresentative del paese.

Una marcia studentesca blocca una strada di Belgrado, il 10 gennaio

Una marcia studentesca blocca una strada di Belgrado, il 10 gennaio (AP Photo/Darko Vojinovic)

Negli ultimi mesi, inoltre, i media governativi hanno pubblicato i dettagli personali di alcuni dei coordinatori delle proteste studentesche. Agenti di polizia e dei servizi segreti hanno convocato alcuni degli studenti più coinvolti per dei “colloqui informali”, che in realtà si svolgono come degli interrogatori e sono un chiaro modo per intimidirli. Gli attivisti del movimento hanno denunciato che, durante questi “colloqui”, il loro telefono è stato confiscato e poi infiltrato con uno spyware (un software per intercettare le loro comunicazioni).

C’è infine il rischio delle aggressioni fisiche, che viene in parte alimentato dalla retorica di Vučić. Il 22 novembre uno studente è stato investito e gravemente ferito da un uomo in macchina durante un presidio fuori dalla facoltà di Belle Arti dell’Università di Belgrado. Vučić ha sostenuto che l’autista non avesse violato alcuna legge perché stava «cercando di farsi strada», e non era quindi il caso di arrestarlo o incriminarlo. Queste dichiarazioni sono state considerate una tacita approvazione all’uso della forza per disperdere le proteste.

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A fine dicembre 13 persone sono state accusate formalmente per il crollo della tettoia, tra loro l’ex ministro dei Lavori pubblici Goran Vesić, che si era dimesso a causa dell’incidente ed era stato inizialmente arrestato, per poi essere rilasciato.

Aleksandar Vučić, lo scorso 18 dicembre a Bruxelles

Aleksandar Vučić, lo scorso 18 dicembre a Bruxelles (EPA/OLIVIER HOSLET)



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