«Dopo la morte di Claudio ci fu una manifestazione di tutte le tifoserie, “basta lame, basta infami” era la parola d’ordine, ma oggi, con gli accoltellamenti a Roma, vediamo che ha insegnato poco…». A Cosimo Spagnolo, 81 anni, quella terribile domenica di trent’anni fa ammazzarono il figlio di 24 anni con una coltellata al cuore fuori dallo stadio Marassi, poco prima di Genoa-Milan. Era il 29 gennaio, un ultrà del Milan si staccò dal gruppo e gli andò incontro a lama sguainata: Vincenzo Claudio, per tutti “Spagna”, restò sull’asfalto e morì di lì a poco in ospedale. Il suo assassino allora 18enne, Simone Barbaglia, condannato a 14 anni, ne ha scontati in carcere meno della metà.
Che effetto le fa vedere ancora questa violenza?
«Sono delinquenti col coltello in tasca, mica tifosi, per questi qui nulla è cambiato. All’inizio, dopo quello che è successo a mio figlio, odiavo molto il calcio, ce l’avevo con tutti. Poi piano piano, conoscendo i ragazzi della curva del Genoa, ho trovato gente che non vuole che succeda più niente del genere: tutti gli anni ci incontriamo per commemorare Claudio nel giorno della sua morte e vengono anche ragazzini di 17-18 anni, cresciuti nel suo ricordo: non dimenticare significa che non vuoi che capiti di nuovo».
Che ricordo ha di quella domenica?
«Ero in campagna fuori Genova a trovare i miei genitori, mi ha chiamato mia figlia e mi ha detto di venire subito perché Claudio era rimasto coinvolto in una rissa. Sentivo nella voce qualcosa di grave. Non so neanche come, senza vedere semafori e strade, mi sono precipitato all’ospedale: quando mia figlia me l’ha detto mi sono sentito crollare… Come si fa a morire per una partita?».
Eppure scontri e lutti non sono finiti lì.
«Una cosa vergognosa e inverosimile che continua a succedere, e se non ci scappa il morto poco ci manca, come per la partita di coppa della Lazio dell’altra sera. Spero che li prendano e diano punizioni esemplari, ma che paghino davvero, perché a volte escono dal carcere troppo presto. Penso che li conoscano tutti i delinquenti, bisogna tenerli lontani dallo stadio e in occasione delle partite devono essere messi in condizione di non nuocere».
E il mondo del tifo? Come dovrebbe reagire?
«Dovrebbero essere i ragazzi stessi a denunciare i personaggi pericolosi, ma il problema è che questi cattivi maestri riescono a trascinarli. A Genova i tifosi “anziani” hanno portato avanti i più giovani nel ricordo di Claudio: alle manifestazioni per mio figlio vedo ragazzini che quando è stato ucciso non erano ancora nati».
L’inchiesta di Milano ha evidenziato anche il ruolo della grande criminalità.
«Ci sono interessi troppo grandi, altrimenti la criminalità organizzata non prenderebbe il controllo di certe curve. Qualcosa è stato fatto, ma non è sufficiente».
Lei ci andava allo stadio?
«Una volta andavo spesso a vedere il Genoa, anche con Claudio, andavamo a tifare insieme in curva Nord. Dopo la sua morte ci sono tornato ma solo per qualche partita, quando c’era la ricorrenza e andavamo a portare i fiori dove c’è la targa che lo ricorda. Dopo la commemorazione in quei casi vado anche alla partita».
Pensa che sia stata fatta giustizia per l’omicidio di suo figlio?
«No. Il responsabile c’è stato pochissimo in galera, cinque-sei anni fra benefici e sconti di pena. Per qualcuno che toglie la vita a un ragazzo disarmato è davvero troppo poco. Non è che si siano scontrate due persone col coltello in pugno. Mio figlio era generoso, coraggioso e forte fisicamente. Conoscendolo, penso che abbia voluto fermarlo prima che facesse del male a qualche ragazzino, e purtroppo l’ha presa lui…».
L’assassino era giovanissimo, 18 anni.
«Sì, ma quella domenica maledetta era venuto a Genova e si era preso un coltello più lungo… Anche lui è stato spinto e addestrato da altri, in una riunione del suo gruppetto dicevano “dobbiamo andare a tagliare un genoano”».
Si sente di rivolgere un appello ai tifosi?
«I più giovani devono riflettere ed essere educati a dare il giusto valore alla vita e allo sport, ma ai delinquenti veri come si fa a parlare. I ragazzi devono stare attenti a non farsi trascinare, e soprattutto non andare armati allo stadio».
Come ricorderete Claudio quest’anno?
«Il 29 gennaio saremo fuori dal Luigi Ferraris a portare i fiori, so che sono state invitate anche molte altre tifoserie e che i genoani vogliono fare una sala ricordo per lui».
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