Stati Uniti: tutti gli uomini del presidente. Ecco chi si occuperà delle decisioni sul futuro del vino



L’imprevedibile Trump torna a colpire. Archiviata la cerimonia di insediamento dello scorso 20 gennaio – tra saluti romani, baci non dati, annunci colonialisti e aspirazioni marziane – è già tempo di passare ai fatti. E il 47esimo presidente (e primo pregiudicato) degli Stati Uniti si è già messo al lavoro. Dazi e health warning sono i due argomenti che stanno a cuore al settore vitivinicolo, ma a dire il vero, al momento l’effetto Trump ha avuto degli esiti inaspettati: far volare le importazioni di vino italiano – Prosecco tra tutti – prima che eventuali tariffe aggiuntive scoraggino acquisiti e consumi.

Al via la guerra commerciale. Se ne occuperà Scott Bessent

La guerra commerciale di fatto è già iniziata, ma al momento non riguarda l’Europa. Nel mirino ci sono Messico e Canada con dazi del 25% sui prodotti diretti negli States. «Penso che lo faremo il primo febbraio», ha già promesso il tycoon. Al momento, però, nessun ordine esecutivo in tal senso è stato firmato e questo regala ancora un po’ di tempo anche ai partner europei per mettere in moto le diplomazie (mentre Ursula von der Leyen chiede unità, Lollobrigida prova a puntare tutto sul Made in Italy e sulla longevità italiana). Sia chiaro, il progetto di Trump non cambia: ne ha parlato sia nel suo discorso di insediamento, promettendo tariffe aggiuntive del 10% sulle importazioni globali, sia nei giorni scorsi: i paesi europei «saranno soggetti a dazi se non correggeranno gli squilibri commerciali – ha detto – Ci hanno trattato male. Se non fai così, non si ottiene giustizia».

A portare avanti la politica di Trump in fatto di dazi sarà il ministro del Tesoro Scott Bessent, fondatore del fondo speculativo Key Square Group, che non ha mai nascosto la sua intenzione di utilizzare le tariffe aggiuntive come “moneta di scambio” per ottenere altro. La sua nomina è andata di traverso al “presidente ombra” di Trump, Elon Musk, che avrebbe preferito altre scelte. Ma The Donald è stato irremovibile. D’altronde l’idea dei dazi di Bessent è perfettamente in linea con quella del suo presidente: «Per troppo tempo – è la sua dichiarazione sul tema – il pensiero dominante ha rigettato l’uso dei dazi come strumento sia di politica economica sia di politica estera. Invece, non dovremmo essere impauriti dal potenziale che hanno i dazi di migliorare il tenore di vita delle famiglie e delle imprese americane. I dazi servono anche per raggiungere gli obiettivi del presidente su scala internazionale: che si tratti di spingere gli alleati a spendere di più per la difesa, aprire mercati alle esportazioni dagli Stati Uniti, cooperare per bloccare le immigrazioni illegali, scongiurare aggressioni militari». Insomma, un vero strumento da usare contro gli avversari.

Dal canto suo, Trump ha già caricato le armi, dando mandato ai funzionari federali di esaminare le relazioni commerciali degli Stati Uniti per pratiche sleali, pronto a trovare qualunque escamotage per arrivare all’obiettivo. Nelle settimane scorse, per esempio, aveva annunciato l’intenzione di servirsi della dichiarazione di emergenza economica nazionale per avere il via libera ai dazi senza ricorrere al Wto. Un annuncio che, comunque andrà a finire, fa capire che pur di arrivare all’autarchia il tycoon americano sia disposto a tutto.

Etichette anti-cancro

La seconda questione – quella del rapporto alcol e salute – avrà, invece, per protagonista il cosiddetto “chirurgo dello stato” (Surgeon general), ruolo che è passato in mano a Janette Nesheiwat. Sarà lei a ereditare il dossier dal suo predecessore Vivek Murthy che, basandosi su uno studio australiano del 2021 (e senza tenere conto del più ampio rapporto Nasem, chiesto dallo stesso Congresso Usa), aveva chiesto l’introduzione delle etichette anticancro, facendo venire un infarto ai produttori di vino di mezzo mondo.

Direttrice medica di una catena di cliniche private di pronto soccorso, Nesheiwat non ha mai avuto altri ruoli politici o incarichi nella sanità pubblica. In compenso è fondatrice di un marchio di integratori alimentari: BC Boost. In un recente libro autobiografico, ha rivelato di aver accidentalmente fatto partire un colpo di pistola che uccise il padre quando aveva 13 anni. Una vicenda che la polizia descrisse come un «incidente bizzarro». Sulla questione delle etichette di vino non si è ancora espressa, così come d’altronde non lo ha fatto Trump che, si è sempre dichiarato astemio (non ci sono testimonianze fotografiche che lo ritraggono con un calice di vino in mano). E se vale il sillogismo “dimmi chi ti vota e ti dirò chi sei”, molto eloquenti sono le immagini dei suoi supporter, che nel giorno dell’insediamento esibivano lattine di un energy drink, dal nome inequivocabile: Maga, ovvero Make America great again. Sottotitoli: anche senza vino.

Janette Nesheiwat

Occhio a Kennedy junior, il paladino della sobrietà

A completare la triade che dovrà decidere del futuro del vino, c’è il controverso Kennedy junior che guiderà il Dipartimento della salute. Noto per le sue posizioni antivaccino, il rampollo ripudiato di casa Kennedy è anche un ultrà del ritorno a una alimentazione naturale, contro i pericoli degli alimenti ultra-processati, degli additivi e dell’influenza politica che le grandi aziende alimentari possono avere sulle istituzioni americane. Con un passato di droghe e alcol alle spalle, si è più volte espresso a favore della totale sobrietà (da anni non fa mistero di frequentare gli incontri degli Alcolisti Anonimi). D’altronde il suo slogan è «Make America Healthy Again». Non proprio una promessa di appoggio alle industrie dell’alcol e del vino, già col fiato sospeso per le nuove linee guida Usa sulla salute, che andranno ad incrociarsi con quelle dell’Organizzazione mondiale della salute (Oms).

Le conseguenze dell’uscita degli Usa dall’Oms

Ed è proprio nel rapporto (momentaneamente interrotto) con l’Oms che si vede tutta la contraddizione e l’imprevedibilità della nuova America. Come primo atto del suo insediamento, Trump ha infatti firmato l’uscita dalla stessa Organizzazione mondale della sanità. «Ohohoh, questo è un grosso problema», ha ironizzato mente sottoscriveva l’ordine esecutivo. Non di certo una novità, visto che lo aveva già fatto nel corso della precedente presidenza. Ma in che modo questo potrà incidere sul futuro del vino?
Di certo la scelta di staccarsi dall’Organizzazione non ha a che fare con la linea dura che da anni la stessa Oms ha adottato in fatto di bevande alcoliche (l’obiettivo era consumi a -10% entro il 2025). Deriva, semmai, dalle scelte no vax dell’amministrazione Trump. Tuttavia, il non allineamento tra l’Organizzazione con sede in Svizzera e il primo mercato mondiale del vino potrebbe essere una buona notizia. Se non altro la certezza che un’eventuale lotta ai consumi di vino si svolgerà su due campi di battaglia separati. E la disgregazione, si sa, non è mai un segnale di forza.



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