La giustizia separata e indebolita • Libertà e Giustizia

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Oltre alla separazione delle carriere, la cosiddetta riforma giudiziaria del governo Meloni determina un pesante ridimensionamento del sistema dell’autogoverno della magistratura. Smascherandone così la pulsione autoritaria.

Il 16 gennaio è stato approvato in prima lettura alla Camera il disegno di legge n. 1917 (Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare) che modifica profondamente l’ordinamento della giurisdizione istituito dalla Costituzione del 1948.

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Come quella presentata da Alfano, Ministro della giustizia del governo Berlusconi nel 2011, anche questa è stata definita una  “riforma epocale” della giustizia.     

In un certo senso è realmente una “riforma epocale” perché manomette uno dei capitoli fondamentali della Costituzione che definiscono l’identità della Repubblica ed il perimetro dello Stato di diritto.

Il Titolo IV della Costituzione sull’ordinamento giurisdizionale definisce in modo molto più organico e completo che in altre costituzioni moderne, il principio della separazione dei poteri, creando uno zoccolo duro di pluralismo istituzionale che non può essere superato, a costituzione vigente. 

In Costituzione  la magistratura viene considerata come “un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” (art. 104), laddove “i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni”, mentre “il Pubblico Ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario” (art. 107). In questo contesto “L’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria” (art. 109) e “il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale” (art. 112). Nel disegno costituzionale, l’indipendenza da ogni altro potere, viene assicurata dall’autogoverno, attribuito ad un organo di rilievo costituzionale, il CSM, al quale spettano: “le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni ed i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati (art. 107). Il CSM è presieduto dal Presidente della Repubblica, ne fanno parte di diritto il primo presidente ed il procuratore generale della Corte di Cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune.” (art.104). La prevalenza dei magistrati ordinari è una garanzia che l’autogoverno non si trasformi in eterogoverno.

Ci sono voluti oltre venti anni perché questo modello andasse a regime rendendo il controllo di legalità sostanzialmente indipendente da ogni altro potere ed è stata fondamentale la crescita culturale del corpo dei magistrati indotta dall’attività associativa, a partire dal congresso di Gardone (25/28 settembre 1965) dell’ANM. Lo scandalo del “potere diviso” non è stato mai digerito e ha dato luogo a crescenti tensioni fra mondo politico e magistratura che hanno raggiunto l’apice con la lunga e contrastata stagione dei governi Berlusconi. Ma l’esigenza di rendere l’esercizio della giurisdizione subordinato all’indirizzo politico è emersa già nel 1981 con la scoperta del “Piano di rinascita democratica” di Licio Gelli che realizzava una profezia nera di sovversione delle istituzioni democratiche che ai giorni nostri, per tanti versi, si sta realizzando. Il Piano prevedeva al primo punto la separazione delle carriere e la sottoposizione del PM al controllo del Ministro della giustizia, nonché la neutralizzazione dell’autogoverno dei magistrati mediante la sottoposizione del Consiglio superiore della  magistratura al controllo del Parlamento.

La separazione delle carriere  è diventata un cavallo di battaglia portata avanti da ampi settori del mondo politico ed è stata oggetto di diverse richieste di referendum, a partire dal 2000.  Questo cavallo di battaglia è sempre stato un mito della politica che non ha mai scaldato i cuori di nessuno, come dimostra il fallimento del  referendum del 12 giugno 2022. Su questo tema si è verificato il massimo del divorzio possibile fra gli interessi ed i bisogni reali del popolo sovrano e i disegni delle elite politiche. Alla separazione delle carriere ed alla rottura del modello costituzionale dell’unicità della magistratura non corrisponde alcun bisogno, alcun diritto, alcun interesse che possa essere apprezzato dal pubblico, si tratta di un’esigenza meramente interna ad una parte del ceto politico, che va oltre questa maggioranza politica, come dimostra il voto favorevole alla riforma di una parte delle opposizioni. Del resto questa esigenza è stata giustificata con argomentazioni che stanno fuori da ogni canone di razionalità. La tesi del difetto di imparzialità del giudice dovuta all’appartenenza alla medesima carriera del PM non è suscettibile di dimostrazione, né da un punto di vista logico, né da un punto di vista fattuale. Si tratta di un mito proposto come una verità di fede: come si sa i dogmi della fede sono indiscutibili e non hanno bisogno di essere giustificati razionalmente.

In realtà l’imparzialità è una caratteristica strutturale del giudice e deriva da una serie di meccanismi che ne garantiscano la libertà di coscienza. Nel giudicare il giudice deve essere libero da condizionamenti di carriera (qui viene in rilievo la funzione del CSM) e da vincoli con le parti che ne potrebbero pregiudicare la libertà di coscienza, per questo esistono gli istituti dell’incompatibilità, dell’astensione e della ricusazione. Il giudizio non deve essere condizionato né da speranze, né da timori (nec spe, nisi metu).

Oltre la separazione delle carriere, la riforma effettua un intervento ancora più incisivo sul modello costituzionale ridimensionando pesantemente il sistema dell’autogoverno della magistratura, concepito dai Costituenti come argine invalicabile per garantire il pluralismo istituzionale e l’indipendenza della magistratura da ogni altro potere.

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Per ottenere questo risultato la strada seguita dalla riforma Nordio introduce un’innovazione che – di fatto – sopprime l’autogoverno, prevedendo una forma di “sorteggio secco”, per l’individuazione dei membri togati del CSM ed una sorta di sorteggio temperato per i membri laici, che sono destinati ad essere sorteggiati nell’ambito di un “elenco” compilato mediante elezione

Il sorteggio riflette una concezione della magistratura come “corporazione” indifferenziata, destinata ad incidere pesantemente sull’indipendenza reale.  In questa visione della magistratura si esprime una logica di “restaurazione” che mira a cancellare e a smentire il percorso culturale, ideale ed istituzionale compiuto dalla magistratura negli ultimi cinquanta anni, appiattendola sull’unica dimensione di un corpo indistinto di funzionari, portatori di elementari interessi di status e di carriera cui ciascuno di essi può attendere in nome e per conto degli altri senza bisogno di scelte o investiture rappresentative. Il progetto di depotenziamento dell’autogoverno viene completato  dallo scorporo dal Consiglio Superiore della funzione disciplinare che viene affidata ad un organo creato ad hoc: l’Alta Corte disciplinare. Anche in quest’organo la componente togata viene scelta attraverso un sorteggio secco, con la differenza che per quest’organo il sorteggio è circoscritto ai soli magistrati con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità. 

La composizione sorteggiata dell’organo disciplinare renderà oscura ed imprevedibile la funzione disciplinare con un effetto di generale intimidazione sul corpo dei magistrati.

In definitiva, separazione delle carriere con due diversi Consigli Superiori e sostituzione dell’autogoverno con una gestione burocratizzata, sono due meccanismi convergenti verso un unico scopo, quello di indebolire l’indipendenza del giudiziario e di superare lo scandalo del “potere diviso”.

A ben vedere la riforma del sistema costituzionale che garantisce l’indipendenza  del giudiziario non ha nulla a che vedere con il buon funzionamento del giudiziario ma esprime soltanto l’insofferenza del potere politico nei confronti del controllo di legalità e ne smaschera la pulsione autoritaria.



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