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La nuova, ennesima grande partita di Novak Djokovic ai danni di Carlos Alcaraz allunga di una pagina ancora, si può immaginare non l’ultima, il libro che raccoglie le sue imprese più belle. Quello di martedì però non sembra esser stato un semplice match di tennis, almeno agli occhi della stampa australiana, che l’indomani affronta alcuni aspetti del personaggio Djokovic che attengono a categorie extra-gioco, fino a sconfinare addirittura nel divino.
Un divino in verità piuttosto umano, che diventa troppo umano; fatto, se necessario di piccolezze, di escamotage, di espedienti che perfezionano e riscrivono le regole della sfuriata, delle ire funeste che Nastase, Connors e McEnroe introdussero nei ’70 e ’80. Tre campioni dalla classe indiscutibile e tre furbacchioni che sbiadiscono fino ad apparire ingenui praticanti al cospetto del GOAT. Sì, perché ormai della disputa sul chi sia stato il più forte non si hanno più notizie e la stampa australiana non si cura di rilanciarne la discussione. I media oceanici si soffermano proprio su cosa sia diventato il GOAT.
In un articolo apparso mercoledì pomeriggio su The Age, Malcolm Knox esordisce appellandolo appunto con l’acronimo della capra, così per sgombrare subito il tavolo da inutili contese e dedicarsi ad altro. “In quali direzioni puoi andare” – si legge – “quando sei il più grande? Il mondo non basta, tu devi essere il più messianico, il più avverso ai peccati (sinned-against…), il migliore nello sconfiggere il dolore, quello che ha più volontà, il più vero, il più falso…”. Solo una persona si avvicina a Nole in questo momento, solo un altro è così in contatto con l’Alto nei Cieli, e il link presente nel pezzo rimanda a The Donald…
Il più vero, il più falso… crediamo ai suoi infortuni? No, mai, dice Will Swanton su The Australian. Il suo sforzo “è genuino, come anche l’ipocondria di cui soffre; quante volte, sin dalla gioventù, lo abbiamo visto riprendersi dopo pause fisioterapiche in maniera miracolosa? Per quante volte ha mostrato di non riuscire a respirare, vedere, camminare? Quante volte si è fatto massaggiare, distrutto, dopo un punto perso per poi tuffarsi nello scambio successivo pimpante come il suo amato Gesù Cristo? Quante volte è stato così sfacciatamente sleale, pur rimanendo nelle regole del gioco?”.
Il rapporto tra la stampa locale e Djokovic continua a soffrire di discontinuità, di saliscendi che peraltro infondono all’asso di Belgrado nuova linfa per rinverdire vecchie o dar vita a nuove motivazioni; nelle argomentazioni della press australiana si utilizzano le categorie del divino in più di un’occasione e di conseguenza il tono passa dalla moderata presa in giro all’attacco deciso, inequivocabile.
La conferenza stampa dopo il quarto di finale con Carlitos è definita “ultra-emozionale e ultra-estenuante, ultra-gravosa e ultra-brillante”, e il giornalista si sofferma sui toni e sulle preoccupazioni del campione in merito al recupero e alle, comunque, intatte motivazioni per fare il meglio possibile: “alle due e diciassette del mattino” – dice” – “ha ricordato la famigerata lesione di tre centimetri… esagerato, magari erano solo due…”.
Anche Dick Callum, su The Herald Sun, ne parla soffermandosi sulla zoppia parodiata da Alcaraz ad un certo punto del loro match; anche un tennista di cui non sono in discussione sportività e gentilezza ha provato timidamente ad accennare al dubbio: Djokovic ci è o ci fa? Callum ricorda alcuni casi, relativi unicamente allo Slam di Melbourne: nel 2024 il problema al polso durante la United Cup che non gli ha precluso l’approdo in semifinale nell’Happy Slam, la lesione appunto di 3 centimetri al tendine durante la vittoriosa edizione del 2023 e lo strappo muscolare all’addome che raccontò di accusare durante il match contro Taylor Fritz nel 2021.
I problemi fisici, veri o finti o semplicemente ingigantiti, sono solo una parte degli argomenti toccati da The Age, che definisce Djokovic il depositario dei diritti dell’infortunio tattico e della ripresa miracolosa, eventi che farebbero la loro bella figura nel Nuovo Testamento. Novak ha ampliato la cassetta degli attrezzi del tennista sleale, “con il palleggio infinito prima del servizio, con l’attacco d’ira tattico, le celebrazioni tattiche e la post-match interview tattica. Amatemi! Se questo non piace al pubblico, possiamo immaginare quanto piaccia a decine di tennisti negli ultimi anni”.
E poi l’influenza sull’ambiente, su chi compila i programmi della giornata; in realtà tutti i grandi campioni sono coscienti di esercitare un fascino speciale e si aspettano qualche attenzione in più, ma Knox richiama il periodo della pandemia per specificare cosa abbia voluto dire influenza: “a Djokovic fu detto che contrarre il virus lo avrebbe esentato dall’obbligo del vaccino. Subito, miracolosamente, il campione serbo si ammalò! Tennis Australia si mosse in ogni direzione per facilitargli il cammino verso l’ingresso nel paese e l’iscrizione al torneo. Dovette intervenire il governo federale per individuare un pretesto utile a rimandarlo in patria; fu una vicenda che umiliò tutti quanti vi presero parte”.
“Ma non importa” – prosegue Knox – “per lui sono state nuove motivazioni: dopo aver sconfitto un semplice tennista, ora poteva sconfiggere un semplice governo”. E anche per quanto riguarda l’ultima disputa con l’anchorman di Channel 9 che ha preso in giro in maniera maldestra il popolo di Novak, Knox sottolinea come Tony Jones abbia detto “speriamo non mi stiano sentendo” esprimendo un pensiero che voleva essere un indizio di satira. Il campione non lo ha colto, forse non volendolo cogliere o, più probabilmente, non potendolo cogliere, e ha smosso l’ambiente fino a incassare le scuse e il dietrofront dell’emittente. “Jones aveva offeso un popolo di credenti, i credenti di Novak. Quale migliore occasione per sottomettere, dopo il tennis, anche un media-partner?”.
Insomma, alla press locale Djokovic appare un monolite senza sfaccettature, un personaggio che, dietro i sorrisi e la sportività spesso palesata, si rivela unidimensionale e sordo a ogni leggerezza o satira, trattando come nemica ogni voce stonata nei suoi confronti. Swanton ricorda di quando Andy Roddick rischiò il confronto fisico dopo un suo sfottò: “le malattie di Novak? SARS, antrace, influenza aviaria”. Le categorie del sacro mal si apparentano però con alcuni trucchi da vecchio fumista, che hanno fatto parte magari della storia del nostro sport ma che lui pare aver sollevato a risorse del tennista al pari di un dritto azzeccato o di un ace.
“Chi si sarebbe aspettato tutto questo da una persona che dovrebbe semplicemente colpire una pallina? E, soprattutto, lo volevamo davvero vedere? Davvero avevamo bisogno dello spettacolo di un atleta così sacralmente coinvolto, così tremendamente serio? Assistiamo a un match di tennis e ci troviamo a dover adorare l’atleta. Ecco l’errore del campione, errore degno di una matricola”, conclude The Age.
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