domanda alle stelle ma scarsa offerta, ecco perché — idealista/news

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Nonostante il mercato immobiliare italiano resti interessante per gli investitori anche internazionali, le transazioni riguardano solo in una parte minoritaria le nuove costruzioni. Molti sono infatti gli ostacoli che, nel nostro Paese, impediscono all’offerta immobiliare di adeguarsi all’effettiva domanda, ragione per cui il real estate nostrano sempre più spesso ripiega sulla riqualificazione o dirotta gli investimenti sul mercato dei servizi. Grazie agli studi di alcuni esperti cerchiamo di capire quali sono le ragioni della scarsità di case di nuova costruzione in Italia.

La scarsità di offerta del nuovo limita le compravendite

Secondo il rapporto ”European Outlook 2025” presentato da Scenari Immobiliari in occasione del suo 32°Forum tenutosi a Rapallo, l’Italia è leader nella crescita immobiliare del 2024-2025, con un fatturato immobiliare che si prevede in crescita del 3,4 per cento entro la fine del 2024 e del 5,7 per cento nell’anno appena iniziato. 

Sul fronte delle compravendite residenziali, la previsione è di una chiusura nel 2024 a 720mila, mentre per il 2025 si stimano circa 760 mila transazioni, in crescita del 36 per cento rispetto al 2020. Di queste però, osserva il think tank, 

Contabilità

Buste paga

 

oltre il novanta per cento riguarda case vecchie, ovviamente spingendo in alto i prezzi per l’esistente riqualificato, per il semplice fatto che quelle nuove scarseggiano. 

“In tema di residenziale, – ha commentato il presidente di Scenari Immobiliari Mario Breglia ai microfoni di idealista/news, a margine del 32° Forum di Rapallo, – l’Italia potrebbe avere un milione di compravendite come in Francia, ma ci fermiamo a 700mila, e questo perché, mentre la Francia costruisce 200 mila case all’anno, noi non arriviamo a 50 mila”.

Secondo il report sempre di Scenari Immobiliari “La casa per la città del futuro”, per fare fronte alla domanda di nuovo residenziale nei prossimi 25 anni si stima dovranno essere realizzate circa 3,65 milioni di nuove abitazioni (per un totale di oltre 1000 miliardi di euro in costruzioni, a cui potrebbero aggiungersi 4,2 miliardi all’anno per la successiva manutenzione delle strutture), che saranno però ricavate in massima parte da trasformazioni e riconversioni, concentrate nelle principali aree metropolitane della Penisola: quasi il 5 per cento a Milano, il 3 per cento a Roma e circa l’uno per cento negli altri principali capoluoghi, dimensioni triplicate se si aggiungono le loro aree metropolitane estese (tra il 42 e il 45 per cento della nuova offerta).

Ma cosa si frappone tra la domanda di case nuove e l’effettiva offerta? 

“Il problema delle città  è reale, – risponde Breglia, – ci sono molte regole e questioni che ostacolano la costruzione ma anche il recupero delle aree dismesse, vecchi palazzi, capannoni industriali, che esistono come esiste la capacità di ristrutturarle. Purtroppo ci si arena sulle norme”.

Il problema dei vincoli di edilizia sociale

Che non sia un problema di domanda ma di difficoltà di realizzazione è un tema evidenziato anche da Carlo Cottarelli nel suo studio presentato lo scorso ottobre presso l’Università Cattolica di Milano dal titolo “Lo sviluppo immobiliare a Milano: perché si costruiscono poche abitazioni?”.  Secondo lo studio, 

in Italia negli ultimi dieci anni, il numero di abitazioni nuove su 100 vendute è sceso drasticamente, passando da circa venti a meno di dieci.

 Nel 2023 l’Italia era ultima tra i Paesi europei nella costruzione di nuove case, con 1,5 abitazioni ogni 1.000 abitanti, contro le 2,5 del Regno Unito, le 3,2 della Germania e le 5,7 della Francia.

La causa non è da ricercarsi in un calo della domanda, dal momento che la diminuzione demografica, quantificabile in un 3 per cento in dieci anni, è stata compensata da un aumento dei nuclei familiari, anche se con meno componenti. Si tratta invece proprio di un calo nella produzione di nuove costruzioni la cui casa, almeno in parte, è da cercare nei vincoli imposti dai piani regolatori.

Tali vincoli richiedono che una quota di case sia destinata all’edilizia residenziale sociale, ovvero alle case messe a disposizione a prezzi calmierati. Tuttavia questi obblighi, oltre una certa soglia, rendono il progetto poco profittevole o lo mandano in perdita, ragione per cui molti sviluppatori rinunciano a partecipare ai bandi per i nuovi sviluppi immobiliare.

Nello studio sopra citato, commissionato al prof. Cottarelli da ASPESI Unione Immobiliare, Assimpredil Ance e Confindustria Assoimmobiliare a supporto delle decisioni del Comune di Milano (piazza al momento più rappresentativa del fenomeno in Italia), si evidenzia che “a fronte di una richiesta complessiva stimata di 9.300 nuove abitazioni ogni anno fino al 2038 (5.000 per l’aumento previsto delle famiglie residenti e 4.300 come probabile riflesso del turnover delle famiglie ora abitanti nel Comune) 

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sono state vendute nel primo trimestre del 2024 solo 648 abitazioni nuove e, su base annua, si potrà arrivare alla vendita di circa 2.600 appartamenti, cioè solo il 28% del fabbisogno stimato”.

Confrontando poi i conti economici della realizzazione di un immobile di metratura inferiore a 10 mila mq, rispettivamente con vincolo del 50% di ERS e in edilizia libera, si evidenzia che nel promo caso la perdita per l’impresa costruttrice ammonterebbe a 1 milione di euro, sufficiente a scoraggiarne la concretizzazione. Il che spiega come mai i bandi Reinventing Cities siano andati deserti, con danni sia per l’edilizia sociale che per l’edilizia sul mercato libero.

“I conti economici descritti nel mio studio – ha commentato il professore della Cattolica – mostrano che l’imposizione di vincoli ERS al di sotto dei 10.000 mq, se non per percentuali contenute, renderebbe non realizzabili progetti di sviluppo immobiliare a Milano. Più in generale, livelli di ERS elevati come quelli inclusi nei bandi degli anni più recenti riducono la realizzabilità dei progetti anche sopra i 10.000 mq, il che ha contribuito al declino quantitativo dello sviluppo immobiliare a Milano, che non sembra ora in grado di affrontare il fabbisogno di nuove abitazioni, sia in edilizia libera che sociale, che lo stesso Comune stima per i prossimi anni. L’approccio attuale, quindi, non è economicamente sostenibile e lo sarebbe ancor meno in presenza di vincoli ancora più stretti relativi alla ERS”.

In questo senso, ridurre tra l’altro i vincoli di ERS e velocizzare i tempi morti burocratici (le pratiche di istruttoria, richiesta e rilascio delle necessarie autorizzazioni, certificazione della bonifica, eccetera arrivano a totalizzare 3 anni su un’operazione di 5 anni) potrebbe aiutare gli imprenditori a riorientarsi verso la realizzazione delle nuove costruzioni.

L’aumento dei costi delle materie prime

Infine, tra le ragioni del calo delle nuove costruzioni va annoverato l’aumento dei costi delle materie prime, che ha interessato in particolare l’Europa soprattutto nel post pandemia, a causa dell’impatto congiunto del conflitto russo-ucraino e della spinta inflattiva dovuta al boom di domanda seguita al Covid. In generale, riporta Il Sole 24 Ore, in meno di dieci anni si sono registrati aumenti dei prezzi delle case in Europa del 50%, a causa in particolare, secondo Eurostat, dell’”aumento dei costi di costruzione e dei tassi ipotecari, la diminuzione delle costruzioni che ha limitato l’offerta e l’aumento dell’acquisto di immobili come investimento per generare un reddito aggiuntivo”.

I costi di costruzione, peraltro, sono rimasti alti nonostante il costo delle materie prime si sia ridotto nell’ultimo biennio. 

Secondo il Construction Cost Report, pubblicato da Gad – Global Assistance Development e riportato da Il Sole 24 Ore, il prezzo dell’acciaio ha visto una riduzione del 37 per cento nel 2023, pur restando più costoso del 25 per cento rispetto al periodo pre-Covid, come quello del legno, che è sceso del 16 per cento. In generale per il costo delle materie prime, pur in calo, è rimasto del 20 per cento superiore rispetto a prima della pandemia. Lasciando i costi di costruzione elevati, a causa dei costi indiretti e dei mark-up di impresa (ovvero le differenze tra prezzo di vendita e costo di produzione). Questi ultimi si sono incrementati di 4-5 punti percentuali rispetto al 2020, arrivando a sfiorare il 30 per cento nel 2023, margine utilizzato tra le altre cose per incrementare gli investimenti in ricerca e sviluppo; ma la incertezza sui costi indiretti induce a una maggiore prudenza nella pianificazione di nuovi sviluppi immobiliari, con conseguente calo dell’offerta di mattone nuovo.



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