Acqua potabile, la Puglia figura bene nella prima mappa in Italia – Ambient&Ambienti

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Greenpeace pubblica la prima mappa nazionale della contaminazione dell’acqua pubblica da PFAS che mostra un’Italia del Nord molto più inquinata di quella del Sud

 

L‘Acqua potabile della regione Puglia è una delle migliori in Italia.

É quello che è emerso dall’indagine pionieristica e all’avanguardia “Acque senza veleni” di Greenpeace che, nei mesi di settembre e ottobre 2024 ha girato il Paese per raccogliere 260 campioni in 235 comuni appartenenti a tutte le Regioni e Province autonome italiane.

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Ha realizzato la prima mappa nazionale indipendente della contaminazione da composti poli- e per-fluoroalchilici (PFAS) nell’acqua potabile. La quasi totalità dei campioni è stata prelevata presso fontane pubbliche e, una volta raccolti, i campioni sono stati analizzati da un laboratorio indipendente e accreditato per la quantificazione di 58 molecole appartenenti all’ampio gruppo dei PFAS. Le analisi, condotte da un laboratorio indipendente e certificato, hanno determinato la presenza di 58 molecole PFAS.

Greenpeace Italia è stata in grado di realizzare una mappa circa la presenza di PFAS nelle acque potabili italiane, misurando, per la prima volta, la presenza di queste molecole nelle reti acquedottistiche di numerose Regioni. Ha monitorato 58 sostanze, ovvero più del doppio delle 24 molecole che il recepimento italiano della direttiva europea imporrà di quantificare singolarmente, ha analizzato la presenza di molecole ultracorte (ad esempio Acido Trifluoroacetico, TFA, e Acido perfluoropropanoico, PFPrA) su cui, nonostante le preoccupazioni della comunità scientifica internazionale e dei legislatori comunitari, non esistono dati pubblici in Italia, anche laddove si effettuano i controlli sui PFAS. 

Critica in molte regioni la situazione della qualità dell’acqua potabile, troppe le molecole PFAS. Ma la Puglia si salva

I risultati mostrano una diffusa presenza di questi composti inquinanti nelle reti acquedottistiche, con almeno tre campioni positivi per ogni Regione.

Le maggiori criticità si registrano in quasi tutte le Regioni del Centro-Nord e in Sardegna: Le situazioni più critiche si registrano in Liguria (8 campioni contaminati su 8 analizzati), Trentino Alto Adige (4/4), Valle d’Aosta (2/2), Veneto (19/20), Emilia Romagna (18/19), Calabria (12/13), Piemonte (26/29), Sardegna (11/13), Marche (10/12) e Toscana (25/31). Le Regioni in cui si riscontrano meno campioni contaminati sono, nell’ordine: Abruzzo (3/8), l’unica regione con meno della metà dei campioni positivi alla presenza di PFAS, seguita da Sicilia (9/17) e Puglia (7/13).
La regione Puglia, con 7 campioni trovati con presenza di molecole PFAS su 13 si colloca al penultimo posto, prima dell’Abruzzo e, almeno per questa volta, in una posizione privilegiata.

La normativa europea attuale che in Italia entrerà in vigore solo nel 2026

La classifica dei comuni

Ancora oggi non esiste in Italia una legge che vieti l’uso e la produzione dei PFAS e questo è un grave danno per la salute dei cittadini che hanno diritto a bere acqua pulita e non contaminata. Il nostro Paese non figura nemmeno tra quelli che hanno avanzato la proposta di mettere al bando l’uso e la produzione di tutti i PFAS a livello comunitario. 

Solo a partire dal 12 gennaio 2026 entrerà in vigore la direttiva comunitaria 2020/2184, recepita con D.Lgs 18/2023, che impone per la prima volta limiti normativi alla presenza di PFAS nelle acque potabili. A oggi quindi non è obbligatorio per gli enti preposti verificare la presenza di questi inquinanti. Tuttavia, nel nostro Paese sono noti da anni alcuni casi di contaminazione da tali sostanze, tra i più gravi dell’intero continente europeo, che interessano parti del Veneto e del Piemonte. Ulteriori criticità si registrano in regioni industriali del Centro e Nord come la Lombardia e la Toscana. Fino a questo momento i controlli delle acque potabili sono per lo più assenti o limitati a poche aree geografiche: questo vuoto di conoscenza rischia di trasformare l’inquinamento da PFAS in un’emergenza nazionale fuori controllo. Peraltro, i dati ambientali relativi alla contaminazione di acque di fiumi, laghi e acque sotterranee – da considerarsi una sorta di campanello d’allarme per la possibile contaminazione di acque potabili e alimenti – hanno mostrato una diffusa contaminazione che, considerando le analisi effettuate dagli enti preposti tra il 2019 e il 2022, interessa tutte le Regioni in cui sono stati fatti i monitoraggi.

I parametri di legge fissati a livello comunitario sono però stati superati dalle più recenti evidenze scientifiche e dalle valutazioni di importanti enti (ad esempio EFSA) tant’è che recentemente l’Agenzia europea per l’ambiente (EEA) ha dichiarato i futuri limiti inadeguati a proteggere la salute umana. In Italia milioni di persone ricevono ancora nelle loro case acqua che, in altre nazioni, non è considerata sicura per la salute. Nonostante queste notizie non incoraggianti si continua a non intervenire su questa emergenza, non tutelando efficacemente salute e ambiente.

Il parere dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) – pubblicato nel 2020 poco dopo l’approvazione della direttiva europea sull’acqua potabile – che ha indicato soglie di assunzione settimanali molto basse, pari a 4,4 nanogrammi per chilo di peso corporeo per sole 4 sostanze (PFOA, PFOS, PFNA e PFHxS). A partire dal parere EFSA, numerose nazioni come ad esempio la regione belga delle Fiandre, i Paesi Bassi, la Germania e la Svezia hanno adottato valori di riferimento molto più bassi rispetto alla direttiva europea e sempre più vicini alla “soglia zero”.  E noi?

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Che cosa sono i PFAS e perché sono pericolosi?

Dalla metà del secolo scorso migliaia di molecole appartenenti al gruppo dei PFAS sono impiegate in svariati processi industriali e per la produzione di numerosi beni di consumo per via delle loro proprietà (come idro- e oleo-repellenza, trattamenti antimacchia, resistenza termica e alla corrosione, basso coefficiente d’attrito, etc). Una volta rilasciati nell’ambiente si degradano molto lentamente. Per tale ragione sono comunemente noti come “inquinanti eterni”. La loro difficile degradazione può determinare la contaminazione di acqua potabile, aria, coltivazioni, alimenti e persino il nostro corpo (alcuni sono noti per essere bioaccumulabili). Le conseguenze sulla salute sono preoccupanti: basti pensare che il PFOA, una delle molecole che appartiene al gruppo dei PFAS, è stato classificato come cancerogeno, mentre il PFOS invece è stato classificato come possibile cancerogeno. Altri PFAS agiscono come interferenti endocrini e possono provocare danni alla tiroide, al fegato, al sistema immunitario e alla fertilità.

L’indagine nel dettaglio: in Puglia comuni e capoluoghi esenti da contaminazioni

Per ogni provincia i campionamenti hanno interessato tutti i comuni capoluogo. In alcune grandi città (Ancona, Bari, Cagliari, Campobasso, Firenze, Genova, L’Aquila, Milano, Napoli, Palermo, Potenza, Reggio Calabria, Roma, Torino, Trieste, Venezia) sono stati eseguiti due campionamenti viste le dimensioni. 

Considerando il parametro di legge “Somma di PFAS”, ovvero la somma di 24 molecole il cui valore, a partire dal gennaio 2026, non dovrà superare 100 nanogrammi per litro, i comuni con le concentrazioni più elevate sono risultati Arezzo che supera la soglia massima con 104,3 nanogrammi al litro, Milano (Via Padova) e Perugia, seguite da Arzignano (VI), Comacchio (FE), Olbia (SS), Reggio Emilia, Ferrara, Vicenza, Tortona (AL), Bussoleno (TO), Padova, Monza, San Bonifacio (VR), Ceccano (FR) e Rapallo (GE). 

PFOA, TFA e PFOS i composti più diffusi.  Il cancerogeno PFOA è risultato il PFAS più diffuso, presente in 121 campioni su 260 (47%), seguito dal composto a catena ultracorta TFA (104 campioni, il 40% del totale) e dal possibile cancerogeno PFOS (58 campioni, il 22% del totale). L’elevata presenza del TFA, considerando la sua persistenza e l’impossibilità di essere rimossa dai più comuni trattamenti di potabilizzazione, rende ancora più grave la mancanza di dati pubblici nel nostro Paese. Molto diffusi risultano anche altri PFAS di più recente introduzione come PFBA e PFBS oltre al 6:2 FTS 

I tenui colori dei comuni pugliesi

I comuni pugliesi interessati da contaminazioni, anche in misura notevolmente inferiore rispetto a tantissimi comuni italiani, sono stati Andria (che risulta avere la concentrazione più alta di PFAS totali con 17,4 nanogrammi per litro), secondo posto per Bari con 8,2, Foggia con 5,4, Nardò con 3,4, Lecce con 2,9 e Barletta con 1,3.
In città grandi e talvolta problematiche come Taranto, Altamura, Grottaglie, Brindisi e Francavilla Fontana non sono stati rilevati PFAS.
Un dato più che positivo. 

LEGGI ANCHE: PFAS, Greenpeace analizza l’acqua della Puglia

Cosa propone Greenpeace per salvare la nostra salute

Il quadro che emerge da questa indagine è tutt’altro che rassicurante per quanto riguarda il territorio italiano perché milioni di cittadini sono esposti, attraverso l’acqua potabile, a sostanze chimiche pericolose e bioaccumulabili, note per essere interferenti endocrini e causare l’insorgenza di gravi patologie, tra cui alcune forme tumorali.
Sono pochi i territori italiani non intaccati dalla contaminazione, con le maggiori criticità che emergono in quasi tutte le Regioni del Centro-Nord e in Sardegna.

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Greenpeace indica come non più rinviabile la decisione di varare un provvedimento che vieti l’uso e la produzione di tutti i PFAS in Italia; il rivedere al ribasso i valori limite sulla presenza di PFAS nelle acque potabili, allineando tali riferimenti normativi alle più recenti evidenze scientifiche; garantire a tutta la popolazione l’accesso ad acqua potabile priva di PFAS; fissare per le industrie un valore limite allo scarico di queste sostanze in ogni matrice (acqua, aria, suoli), oltre a limiti restrittivi nei depuratori civili e industriali e nei fanghi; supportare i comparti produttivi nazionali in un piano di riconversione industriale che faccia a meno dei PFAS. 

Perché tutti devono essere protetti e tutelati. 





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