le vite borderline di PSG e Manchester City

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Le due squadre sono state costruite con una disponibilità di spesa illimitata, avendo alle spalle fondi sovrani e dinastie. Ma tornano a sfidarsi in Champions dal basso di una posizione in classifica mortificante e con il rischio di uscire. Rischiano di più club e presidenti, tra inchieste giudiziarie e amministrative in corso

I titoli, una manciata di anni fa, erano ben diversi da quelli che introducono la sfida di Champions tra Paris Saint-Germain e Manchester City di mercoledì 22 gennaio. Spesso uguali, senza che ci si potesse aspettare chissà quale esercizio di fantasia.

Il concetto quello era, al di là di qualche legittima considerazione sulle autocrazie alla base del fenomeno: le partite tra i due club hanno sempre rappresentato una sorta di derby plutocratico tra Qatar ed Emirati Arabi, entrambi alla ricerca dell’egemonia sullo sport più europeo di tutti. Un racconto pigro, ma non lontano dalla realtà, sicuramente capace di penetrare nell’immaginario collettivo.

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Storie di sceicchi, pozzi di ricchezza senza fondo, potere; elementi da serie di successo che Netflix scansati: da un lato la dinastia al-Thani e Qatar Sports Investments, con il braccio armato di Nasser Al-Khelaifi presidente dell’Eca, vicino a Ceferin; dall’altro Abu Dhabi United Group, Mansour bin Zayed al-Nahyan, del quale per anni pare essere esistita una sola foto, scattata all’Emirates Stadium nel 2010, perché la gestione è nelle mani di una variopinta schiera di dirigenti che lavorano sotto l’ombrello di City Football Group, multinazionale del pallone non in franchising – quello lo fa Red Bull – ma quasi.

Il passato

Nel 2016 si sfidarono ai quarti di finale, nel 2021 in semifinale, pochi mesi più tardi nel girone eliminatorio, che ovviamente superarono entrambe. Neymar e Aguero, Ibrahimovic e De Bruyne, Messi e Rodri, Mbappé e Bernardo Silva: metteteci chi volete, fa sempre invidia. Stavolta no, e pazienza se ci saranno pur sempre Luis Enrique, Hakimi, Dembelé e Guardiola, Haaland, Foden, perché la classifica unica vede il City ventiduesimo a 8 punti e il PSG venticinquesimo a 7. Teoricamente, uno qualificato ai playoff per il rotto della cuffia, uno fuori.

Recitare il de profundis dei due club in questa Champions rischia di essere azzardato: la sfida di questa sera può effettivamente avvicinarne uno a un’eliminazione clamorosa, ma potrebbe anche essere interlocutoria – due feriti meglio di un morto, no? – perché mercoledì prossimo il City giocherà in casa contro il Bruges e il PSG sarà di scena a Stoccarda, ed entrambe le avversarie, sulla carta, sembrano vittime sacrificali.

Dopo tutto nella formula-mischione che tanto piace ad Al-Khelaifi le variabili sono troppe, così come le partite.

Gli errori attuali

E troppi sono anche opere, errori e omissioni che i due club scontano non solo in questa Champions, ma più in generale a causa di gestioni le cui crepe vengono riempite con l’oro, eppure perdono di valore. Prendiamo Kvaratskhelia. Convinto a lasciare Napoli, guadagnerà quasi cinque volte lo stipendio precedente e vincerà il titolo francese da nuovo gioiello della casa.

Una casa che Mbappé ha lasciato perché il Real è un’altra cosa, ed è un po’ come alla Fiera dell’Est, dove il cane morse il gatto che si mangiò il topo, e il molosso è sempre Pérez, anche se Al-Khelaifi fa la faccia dura.

L’immagine riflessa è un’altra, e i tifosi del PSG ne hanno abbastanza di lui, inseguito da guai giudiziari. Deve rispondere di un’accusa di detenzione illegittima e tortura, inoltre il club è stato condannato a pagare a Mbappé 55 milioni di arretrati, e potrebbe pure rischiare un blocco del mercato.

Dove i dirigenti hanno fatto la figuraccia di perdere il conto dei calciatori dati in prestito, fino ad andare in sovrannumero con quello di Kolo Muani alla Juventus. Quasi una supercazzola, come fosse al-Thani.

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Tutto lo sembra, a dire il vero, perché nel frattempo il City ex egemone risale in Premier e spende di qua e di là – Khusanov dal Lens, Reis dal Palmeiras, un rinnovo di 9 anni per Haaland, gli occhi su Cambiaso e chissà chi altro – ma sul capo ha la spada di Damocle del processo sulle presunte violazioni dei fair play finanziario e attende solo di conoscere la sanzione.

Significa mettere le mani avanti, sapere di essere andati oltre e temere la vendetta. Chi vive borderline sa che deve aspettarsela.

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