Scritto da A.G. il
I fondi di investimento guardano con interesse alla transizione energetica in Italia: ci sono infatti evidenti opportunità in alcuni ambiti, come le rinnovabili, l’evoluzione delle reti, lo stoccaggio della CO2, la mobilità elettrica e i biocarburanti. Un interesse destinato a crescere in futuro e che potrebbe sostenere le imprese in diversi comparti produttivi, anche se restano i ben noti limiti normativi e burocratici.
Oltre a criticità specifiche di alcuni ambiti, dalle catene di fornitura alle competenze, passando per le dimensioni delle aziende che vi operano. È il quadro che emerge dal primo rapporto “Osservatorio Energia e Capitali” di Bain & Company Italia.
I numeri
«In Italia sono attivi oggi 60 fondi che gestiscono oltre 100 portfolio company del settore energia – spiega Roberto Prioreschi, Senior Partner e SEMEA Regional Managing Partner di Bain & Company. A giugno 2024, questi fondi generavano un EBITDA complessivo di oltre 3,7 miliardi di euro, pari a circa l’8% dell’EBITDA totale dei settori della transizione ecologica. Il 55% delle società partecipate opera nel settore delle energie rinnovabili, contribuendo per oltre il 45% all’EBITDA totale. I settori Waste e Servizi rappresentano ciascuno il 10% delle partecipazioni, con un impatto significativo sull’EBITDA (11% e 3% rispettivamente).
Le reti Gas e Power, pur rappresentando solo il 5% delle partecipazioni, generano il 17% dell’EBITDA, a testimonianza della loro rilevanza strategica, attuale e futura. Il restante 20% delle partecipazioni è distribuito tra settori in crescita come idrico, illuminazione pubblica, downstream ed efficienza energetica, con un forte potenziale di sviluppo. Il 30% dei fondi analizzati vanta un EBITDA pro-quota superiore ai 10 milioni di euro, con una tenure media delle portfolio company di 5 anni, in un contesto di mercato sempre più dinamico».
Crescono le competenze nell’energy
Nell’immediato futuro, complici anche gli sfidanti obiettivi fissati a livello nazionale ed europeo per il prossimo decennio, potremmo vedere un ulteriore, significativo incremento del numero di fondi, e del loro valore, che operano nel settore energetico e nella transizione ecologica.
«Stiamo già assistendo a un crescente interesse da parte di fondi che in passato si erano concentrati su altri settori, ora attratti dalle opportunità offerte da questo ambito – commenta Alessandro Cadei, Senior Partner e responsabile EMEA Energy & utilities di Bain & Company. Sebbene i fondi rimangano generalisti per definizione, stiamo osservando una crescente spinta alla specializzazione, sia per quanto riguarda la focalizzazione del loro mandato (i.e. quelli legati all’Art 9), ma anche attraverso lo sviluppo di competenze interne verticali su tematiche settoriali.
Questo shift è attivato non solo dalla presenza di asset strategici, ma dalla capacità di offrire sempre più servizi innovativi e ad alto valore aggiunto. Gli operatori infrastrutturali stanno infatti cambiando la loro identità, concentrandosi su nuovi servizi abilitati dalle opportunità di investimenti su digitalizzazione e tecnologie decentralizzate, cioè solare distribuito, mobilità elettrica etc.».
Un sostegno agli investimenti necessari
L’impatto di questo interesse dei fondi è, ovviamente, molto positivo, perché accelera le capacità di investimento del sistema-Paese nel suo complesso e consente agli operatori industriali strutture patrimoniali più efficaci.
«In Italia – afferma Prioreschi – il fabbisogno di investimento necessario per il raggiungimento deli obiettivi di decarbonizzazione è di circa 300 miliardi euro. I fondi inoltre non solo forniscono capitale, ma anche accompagnamento e monitoraggio, contribuendo al rafforzamento della governance e alla più complessiva crescita manageriale di realtà di piccole e medie dimensioni. In moltissime realtà che abbiamo supportato abbiamo potuto osservare che questo tipo di affiancamento genera, per le imprese acquisite, crescita in tempi più rapidi, maggior spinta all’innovazione tecnologica e di prodotto e, non ultima, una maggiore cultura dell’utilizzo dei dati a supporto dei processi decisionali.
Da ultimo, la crescente specializzazione dei fondi in funzione del grado di maturità delle aziende consente di poter indirizzare capitali su iniziative ad alto tasso di innovazione come nel caso dei fondi di early seed e di venture capital, con un beneficio significativo in termini di accelerazione dell’industrializzazione di tecnologie potenzialmente disruptive, come gli stoccaggi di lungo periodo».
Normativa, competenze, know-how
Non mancano, ovviamente, gli ostacoli. In primis, la stabilità della regolamentazione e la capacità di prevedere la profittabilità dei diversi modelli di business.
«È fondamentale considerare non solo la singola normativa, ma l’ecosistema in cui le aziende operano – osserva Cadei. Inoltre, un tessuto economico in crescita, con consumi e filiere “sani”, migliora le performance di tutte le aziende che vi operano. Per questo, il rischio di impoverimento del livello di competenze e know-how di alcune filiere emerge come tema particolarmente delicato e rilevante nelle scelte di investimento».
Smart grid e biometano
Nelle smart grid, ad esempio, si sta assistendo a una crescita notevole e le prospettive di investimento sono molto promettenti. Ma vanno affrontati e gestiti rischi come la mancanza di capacità operativa per implementare gli investimenti e la difficoltà nel reperire personale qualificato.
Poi c’è il biometano, il cui sviluppo sarà cruciale per la decarbonizzazione ma dipende da processi autorizzativi che possono essere eccessivamente burocratizzati e complessi. E resta il nodo della catena di fornitura del feedstock, che in alcune aree geografiche presenta prezzi elevati.
Eolico, fotovoltaico e biocarburanti
Eolico e fotovoltaico, in prima fila per la transizione green, restano alle prese con il problema delle autorizzazioni, in cui resta molto da fare. È ancora irrisolta la questione del re-powering e l’eolico offshore è ancora in fase embrionale, con numerosi progetti in discussione. Anche nei biocarburanti il contesto regolatorio guida ancora lo sviluppo.
Gli operatori dovranno industrializzare il modello di supply, scalare e standardizzare l’assetto produttivo e innovare il modello di offerta commerciale e partnership con la domanda. Restano molto ampie le potenzialità nell’aviazione e nel trasporto marino.
Acqua e rifiuti
Infine: i rifiuti e l’acqua. Nella settore civile della gestione dei rifiuti si sono visti progressi significativi in termini di riciclo, ma a livello industriale restano ampi margini di miglioramento. Nel prossimo futuro è comunque probabile una fase di aggregazione, perché a oggi gli operatori sono sottodimensionati rispetto alle sfide del settore e alle potenzialità del mercato.
La gestione della risorsa idrica, invece, sta mostrando un elevato deficit infrastrutturale e un livello di investimenti molto inferiore ai fabbisogni reali. Nonostante una situazione particolarmente grave in alcune aree del Paese, restano sfide regolatorie e di gestione, con una lentezza burocratica nella realizzazione delle opere strategiche. E serve anche allargare lo sguardo, riorganizzando il settore intorno a un bilancio idrico integrato che consideri tutti gli utilizzi e non solo quelli civili, che riguardano solo il 20% delle risorse.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di dicembre 2024 di Energia&Mercato. Se vuoi ricevere Energia&Mercato, puoi abbonarti nel nostro shop.
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