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Paolo ValentiRedattore lavialibera
22 gennaio 2025
È rientrato a casa con un volo di Stato italiano Najeem Osema Almasri Habish, l’ufficiale libico arrestato a Torino la scorsa domenica su mandato della Corte penale internazionale nell’ambito delle indagini sui presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi dalle autorità dello Stato nordafricano. Atterrato martedì sera a Tripoli, è stato accolto come un eroe da decine di sostenitori.
Istituita dallo Statuto di Roma del 1998, la Corte penale internazionale è il tribunale incaricato di accertare le responsabilità e stabilire le pene nei confronti di individui accusati di:
- crimini di guerra;
- crimini contro l’umantà;
- genocidio;
- crimine di aggressione.
Come la Corte internazionale di giustizia ha sede a L’Aia, nei Paesi Bassi, ma a differenza di questa giudica gli individui, non gli Stati. La Corte penale internazionale può avviare indagini su mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite oppure autonomamente, ma in questo caso solo su presunti crimini commessi nel territorio degli Stati che ne riconoscono la giurisdizione (sono 125) o da parte di cittadini di quegli Stati.
Rilasciato per un “cavillo”
A negare la convalida del trattenimento e quindi ordinare il rilascio di Almasri è stata la Corte d’appello di Roma, che in una nota ha evidenziato “l’irritualità dell’arresto”, che non sarebbe stato preceduto dalle necessarie “interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale”. Per questo, si legge, “non ricorrono le condizioni per la convalida e, conseguentemente, per una richiesta volta all’applicazione della misura cautelare. Ne deriva la immediata scarcerazione del pervenuto”.
“La vicenda doveva imporre maggiore cautela e attenzione per provare concretamente, non con proclami, a combattere il traffico di esseri umani e a fermare le torture” Asgi
Ieri, il ministro della Giustizia Carlo Nordio aveva confermato in una nota di aver ricevuto la richiesta d’arresto da parte della Corte dell’Aia, aggiungendo: “Considerato il complesso carteggio, il Ministro sta valutando la trasmissione formale della richiesta al Procuratore generale di Roma”. L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha chiesto spiegazioni sul perché questa richiesta non sia stata trasmessa immediatamente e denunciato “l’oggettiva superficialità e gravità dell’esecutivo nella gestione della vicenda, che doveva imporre maggiore cautela e attenzione per provare concretamente, non con proclami, a combattere il traffico di esseri umani e a fermare le torture che avvengono sistematicamente nelle prigioni libiche”. All’attacco anche le opposizioni, che oggi in parlamento hanno chiesto un’informativa urgente della premier Giorgia Meloni.
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Chi è Najeem Osema Almasri Habish
Diverse fonti di stampa e organizzazioni, tra cui Amnesty International, indicano Almasri come direttore dell’Istituzione di riforma e riabilitazione di Tripoli, organo alle dipendenze del ministero della Giustizia che supervisiona diversi istituti penitenziari nell’area della capitale. Sempre secondo Amnesty, l’ufficiale sarebbe anche esponente dell’Apparato di deterrenza per il contrasto al terrorismo e al crimine organizzato (Deterrence Apparatus for Combatting Terrorism and Organized Crime, Dacto), una milizia che nell’agosto del 2023 avrebbe preso parte a combattimenti a Tripoli uccidendo almeno 45 pesone, tra cui civili.
Il nome di Najeem compare anche in un report del Dipartimento di Stato Usa, che lo indica come direttore del carcere di Mitiga, a pochi chilometri da Tripoli, nel quale da anni vengono denunciate torture. Nel suo ultimo rapporto, pubblicato nel marzo del 2023, la Missione indipendente delle Nazioni Unite di accertamento dei fatti sulla Libia ha riscontrato “ragionevoli motivi per ritenere che crimini contro l’umanità, come omicidi, tortura, detenzione illegittima, stupri, sparizioni forzate ed altri atti disumani” sono stati commessi nel carcere di Mitiga e in altre strutture di detenzione dal 2016.
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Le indagini della Corte penale sulla Libia
A novembre, il procuratore della Corte penale aveva annunciato mandati d’arresto da mantenere segreti. Il pasticcio italiano fa venir meno la riservatezza su Elmasri
La Corte penale internazionale ha avviato le indagini sui crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Libia nel 2011, su richiesta del Consiglio di sicurezza Onu. Da allora ha emesso e reso pubblici undici mandati d’arresto, sei dei quali desecretati lo scorso ottobre. Quello nei confronti di Almasri non compare, probabilmente perché era stato scelto di mantenerlo segreto per evitare la fuga o l’occultamento delle prove.
Lo stesso procuratore capo della Corte Karim Khan aveva evocato questa possibilità di fronte al Consiglio di sicurezza lo scorso novembre: “Ci stiamo muovendo rapidamente anche rispetto alle indagini riguardo sui crimini commessi nelle strutture di detenzione dal 2014 al 2020 – aveva dichiarato –. Prevediamo nuove richieste di mandati d’arresto nei prossimi mesi in relazione a queste indagini. Alcune richieste potranno essere secretate ed ex-parte (cioè sottoposte unilateralmente, senza preavviso alla parte interessata, ndr)”. Riservatezza venuta meno a causa del pasticcio delle autorità italiane, che ora rischia di far sfumare ogni possibilità di condurre Almasri di fronte alla giustizia.
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