Hubert Védrine, ex ministro degli Esteri francese, ha detto a margine della conferenza di Davos che l’insediamento di Donald Trump «è come vedere un meteorite che si dirige verso la Terra». Il discorso inaugurale del nuovo presidente ha lasciato intendere quali conseguenze avrà l’impatto. «Sarò il pacificatore del mondo» ha garantito, ma gli Stati Uniti torneranno ad espandersi perché «ci riprenderemo il canale di Panama» e il Golfo del Messico diventerà il Golfo dell’America. La caduta del meteorite Trump cambierà tutto: i rapporti fra gli stati, l’economia, l’immigrazione, il modo di difendersi dai prepotenti e dalle minacce transnazionali, come le epidemie e il riscaldamento globale. Il mondo assomiglierà sempre più all’Europa della fine del XIX secolo, con poche grandi potenze in competizione fra loro desiderose di ampliare il loro potere, la loro ricchezza e la loro influenza. Nel 1945, alla fine della Seconda guerra mondiale, vennero fondate le Nazioni Unite e si stabilì per la prima volta che tutti i paesi avevano uguali diritti e che non bisognava più tollerare che uno ne aggredisse un altro. Quel sogno sembra svanito: i più forti sembrano aver deciso di poter fare di nuovo quello che vogliono e i deboli possono solo soffrire, come è quasi sempre stato nella storia dell’umanità. La Russia vuole prendersi parte dell’Ucraina e guarda con interesse ad altri territori. La Cina vuole Taiwan e maggiore controllo ai confini del Mare Cinese, a cominciare dalle Filippine. Trump ha confermato le mire sul Canale di Panama (e il presidente panamense Jose Raul Mulino ha subito risposto: «Il Canale è e resterà nostro») ma ne ha anche sulla Groenlandia e sul Canada. L’Europa conterà ancora meno: non ha un esercito né una politica estera comune, è sempre più divisa e passa il tempo a discutere per mettere d’accordo tutti. Trump contribuirà ad accentuarne le divisioni, preferendo il rapporto diretto e personale con i leader dei singoli stati a quello con la Commissione di Bruxelles, dove nessuno sembra mai poter prendere una decisione senza dover chiedere a qualcun altro.
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I DAZI
Ad alleviare le paure dei pessimisti c’è il fatto che, nel suo primo mandato, le politiche adottate da Trump sono sempre state più sfumate della retorica espressa nei discorsi e nelle interviste. Aveva minacciato il Messico di dazi del 30% e si è poi messo d’accordo con un trattato di commercio più favorevole agli Usa. Aveva detto all’Europa che avrebbe limitato l’importazione di auto, ma si è poi accontentato di maggiori acquisti di gas e soia americani. Può darsi che accada lo stesso, ma intanto l’Europa potrebbe dover affrontare dazi del 10-20% e la Cina del 60%. Si può reagire in due modi: vendicandosi con altri dazi o cercando un accordo che cambi le cose. «Xi Jinping mi rispetta – ha detto Trump al Wall Street Journal – perché sa che sono un pazzo». Lavorare con lui alla Casa Bianca, dicevano i suoi collaboratori, «è come trovarsi all’interno di un flipper», le sue idee variano in continuazione. Ma è difficile che cambi l’atteggiamento sulla Nato e sulla difesa europea, che non potrà più dare per scontato l’aiuto americano. I mutamenti nella politica estera americana metteranno a dura prova la coesione dell’Alleanza, che rischia una grave crisi. Uno dei suoi membri più importanti, la Gran Bretagna, dovrà anche decidere chiaramente da che parte stare: maggiori legami con gli Usa o con l’Europa?
Trump vuole porre fine a tutte le guerre e spera di fermare anche quella a Gaza. Continuerà a sostenere Israele, ma Netanyahu dovrà fare più attenzione a quello che promette: con l’arrendevole Biden aveva potuto mentire come ha fatto in più occasioni, con Trump sarà più difficile e lo si vedrà nelle prossime settimane, quando il conflitto potrebbe riprendere ignorando gli impegni. L’altra partita aperta è quella con l’Iran: nel 2018 Trump uscì dall’accordo per il nucleare e su questo non ha cambiato idea. Tornerà alla «massima pressione» della sua prima presidenza, con sanzioni intensificate. L’obiettivo è costringere gli ayatollah a fermare il programma nucleare. L’economia iraniana è a pezzi, ma i programmi sono continuati anche grazie agli aiuti ricevuti da Russia e Cina. La massima pressione richiede però tempo per funzionare e l’Iran potrebbe arrivare prima ad avere una bomba atomica. Trump dovrà parlarne con Mosca e Pechino, e anche con l’Arabia Saudita, il cui riavvicinamento a Israele è un elemento chiave della stabilità del Medio Oriente. Ma Riad vuole uno stato palestinese e saranno necessari anche qui tempo e pazienza.
PECHINO
Marco Rubio, nuovo segretario di Stato, ha detto nell’audizione al Senato che la Cina pensa di diventare la prima potenza mondiale nell’arco di dieci o vent’anni. Per questo non vuole essere coinvolta in conflitti armati o in guerre commerciali che rallenterebbero questo processo. Ci sono dunque le condizioni ideali per avviare un dialogo, ma è difficile cominciarlo con dazi del 60%. Che cosa potrebbe fare cambiare idea a Trump? Maggiori esportazioni americane in Cina, accordi su chip e nuove tecnologie e un aiuto a porre fine alla guerra in Ucraina tagliando gli aiuti a Putin. In cambio, Trump potrebbe anche garantire una minore attenzione degli Stati Uniti su Taiwan, un favore da rendere poi se mai dovesse davvero ordinare di annettere Panama, dove la Cina ha grandi interessi. L’Ucraina non sta vincendo la guerra né mai potrà riuscirci, ma anche a Putin sono rimaste poche settimane di autonomia prima di dover prendere decisioni difficili da accettare per la popolazione. Un congelamento del conflitto, se non una vera pace, è dunque possibile. Ieri comunque il neopresidente ha evitato di prendere qualsiasi posizione sul tema: nel suo discorso l’Ucraina non è stata citata neanche una volta.
CLIMA E SCIENZA
Cambierà tutto anche su molti altri fronti, a cominciare dalla lotta ai mutamenti climatici. Nel primo discorso da presidente, Trump ha confermato l’uscita dal «green deal» e molti altri stati avranno una buona scusa per non rispettare gli impegni. La COP30 di novembre in Brasile sarà ancora più deludente di quella dell’anno scorso a Baku. A maggio è in programma a Ginevra un vertice sulle pandemie per sottoscrivere un impegno globale comune sugli allarmi, sulle procedure e sulla prevenzione, ma l’appoggio americano all’intesa è improbabile. Trump voleva curare il Covid con i disinfettanti orali e il suo ministro della Sanità Robert Kennedy jr pensa che i vaccini causino l’autismo. In febbraio a Parigi governi e scienziati si riuniranno per prendere decisioni su un altro tema molto importante: l’intelligenza artificiale. L’obiettivo è impegnare tutti a farla progredire solo sulla base dell’interesse pubblico, ma l’influenza di Elon Musk sul nuovo presidente potrebbe riservare sorprese. L’imprevedibilità è comunque il modus operandi di Trump e i governi del mondo avranno non pochi problemi ad adattarsi di volta in volta ai cambiamenti di obiettivi e strategie. Ma il presidente resta un uomo d’affari, e ogni volta che discute di qualcosa pensa inevitabilmente a quello che ci guadagna. Se si tiene conto di questo, si può trovare il modo di mettersi d’accordo su tutto.
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