Referendum abrogativi: al voto su lavoro e cittadinanza, esclusa l’autonomia differenziata

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Gli italiani saranno chiamati tra aprile e giugno a votare cinque referendum abrogativi: quattro sul lavoro, legati al Jobs Act, e uno sui requisiti per la cittadinanza. Esclusa invece la consultazione sull’autonomia differenziata, dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale per mancanza di chiarezza sul quesito. La Consulta ha ribadito che il tema richiede una revisione costituzionale. Gli altri quesiti, promossi da Cgil e +Europa, puntano a modificare norme su cittadinanza, contratti e licenziamenti

(Foto ANSA/SIR)

In una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno gli italiani saranno chiamati alle urne per cinque referendum abrogativi: quattro relativi al mondo del lavoro e in particolare al Jobs Act, uno riguardante i requisiti per acquisire la cittadinanza. Non si svolgerà invece la consultazione sulla legge per l’autonomia differenziata, in quanto la Corte costituzionale ne ha dichiarato inammissibile il quesito. Questo è il risultato della camera di consiglio della Consulta, che si è svolta con il collegio ridotto a undici membri (il minimo necessario per deliberare) a causa della ritardata sostituzione di quattro dei cinque giudici di nomina parlamentare.

Il responso politicamente più atteso era quello sul quesito in materia di autonomia, su cui però si addensavano in partenza molti dubbi.

La legge Calderoli, infatti, era già stata oggetto di una recentissima valutazione della Corte in seguito al ricorso “diretto” di alcune Regioni (quelle guidate dal centrosinistra). La sentenza 192 del 14 novembre scorso aveva praticamente smantellato e riscritto la legge, bocciando alcune norme e interpretandone altre alla luce dei principi costituzionali. Tecnicamente, secondo la Cassazione, il quesito sarebbe stato ancora applicabile alla normativa residua – di cui si chiedeva l’abrogazione totale – ma la Consulta ha deciso per l’inammissibilità in quanto “l’oggetto e la finalità… non risultano chiari” e “ciò pregiudica la possibilità di una scelta consapevole da parte dell’elettore”. In altre parole, non si capiva più su quale legge si sarebbe dovuto votare.

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Non solo. Rimosso di fatto lo schermo della legge di attuazione, il voto referendario avrebbe investito in pieno la stessa norma costituzionale che è alla radice di tutto. Il comunicato della Corte spiega che così “il referendum verrebbe ad avere una portata che ne altera la funzione, risolvendosi in una scelta sull’autonomia differenziata, come tale, e in definitiva sull’art. 116, terzo comma, della Costituzione; il che non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo eventualmente di una revisione costituzionale”.

Altre indicazioni arriveranno dalla lettura integrale della sentenza, che sarà depositata nei prossimi giorni, ma appare già evidente che spetterà al Parlamento discutere e approvare una legge di attuazione coerente con i principi costituzionali, secondo quanto indicato dalla Consulta nel pronunciamento dello scorso novembre.

Nessun problema per gli altri quesiti. In attesa del deposito delle relative sentenze, il comunicato della Corte fa sapere che sono stati dichiarati ammissibili perché “non rientrano in alcuna delle ipotesi per le quali l’ordinamento costituzionale esclude il ricorso all’istituto referendario”. “Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana”, recita il quesito promosso da +Europa e da molte realtà della società civile. Con un’abrogazione chirurgica viene in pratica estesa a tutti la tempistica già prevista per chi è adottato da un cittadino italiano.

Gli altri quattro quesiti, che hanno visto come capofila la Cgil ma con il coinvolgimento, anche in questo caso, di molti altri soggetti, puntano a modificare alcune norme in materia di rapporti di lavoro, in particolare quelle derivate dal Jobs Act.

Innanzitutto il contratto a tutele crescenti e la disciplina dei licenziamenti nelle imprese più piccole: l’abrogazione riporterebbe non al famoso art. 18 dello Statuto dei lavoratori, ma alla legge Fornero del 2012. Un altro quesito propone la cancellazione integrale del decreto che ha liberalizzato i contratti a tempo determinato. Un altro ancora chiede di abrogare una legge del 1966 che ha imposto alle piccole aziende un tetto massimo all’indennizzo per i licenziamenti illegittimi. Infine, c’è la richiesta di rimuovere le norme che, in caso di infortunio, escludono la responsabilità dell’impresa appaltante.





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