Per una pubblica amministrazione più giovane e formata, più pagata e tecnologica

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Contributi e agevolazioni

per le imprese

 


(a cura di Marco Carlomagno)

L’attesa firma definitiva del contratto che dovrebbe arrivare a giorni pone, dopo decenni di stallo, le basi per una pubblica amministrazione diversa: più giovane, più pagata, più formata, tecnologicamente avanzata e con una qualità della vita più alta. Buone notizie, dunque, ma non è che un primo passo: la firma di questo CCNL e lo stanziamento già previsto nella legge di bilancio per la tornata 2025-2027 consentiranno l’avvio del negoziato per il rinnovo del prossimo trienno, permettendo finalmente l’allineamento del rinnovo contrattuale al triennio di svolgimento delle prestazioni.

Una boccata d’aria per una pubblica amministrazione che ha bisogno, prima di tutto, di tornare a essere attrattiva. Oggi, infatti, la PA italiana sconta alcuni problemi non risolvibili nell’immediato, ma al tempo stesso urgenti. E a poco sono valse le grandi aperture dei concorsi pubblici negli ultimi anni. Nonostante, infatti, solo dal 2021 e fino al giugno 2022 (ultimi dati di Formez PA disponibili), il processo selettivo abbia raggiunto un’intensità altissima – nel biennio 2021-22 sono state aperte 395 sessioni d’esame che hanno attirato 1,6 milioni di candidature e hanno registrato una partecipazione effettiva di 620.000 persone – non tutti coloro che sono stati giudicati idonei ad entrare a far parte della PA hanno poi scelto di prendere il posto. Un dato che risulta evidente anche confrontando l’età media dei partecipanti ai concorsi pubblici con gli assunti nella pubblica amministrazione: il 41,3% dei candidati, sempre nel periodo 2021-22, aveva tra i 30 e i 40 anni, eppure la maggior parte delle persone che oggi lavora nella PA è over 55. Nella scelta di accettare il posto di lavoro, perciò, qualcosa va storto. Che cosa? Una ricerca di Bigda, la società di consulenza che offre servizi avanzati di analisi dei dati, analytics e ricerche di mercato attraverso tecnologie di big data e intelligenza artificiale, per FLP, ha evidenziato almeno tre punti che rendono poco appealing la nostra pubblica amministrazione.

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La PA nel 2023 ha visto 515mila smart worker, un numero che è andato a diminuire nel 2024. Eppure, secondo la ricerca Bigda, i dipendenti della PA avrebbero da questo tipo di lavoro grandi vantaggi: sono 93 le ore di viaggio che si risparmierebbero ogni anno grazie allo smart working, mentre è di 250 euro il risparmio annuale per ciascuna postazione lavorativa ottenibile adottando lo smart working per 2 giorni a settimana. Con il contratto che è in fase di firma, questo aspetto potrebbe finalmente cambiare grazie all’implementazione del lavoro agile, con l’esplicito superamento del cosiddetto principio di prevalenza dell’attività in presenza, unito al riconoscimento del buono pasto per tutte le giornate in lavoro agile. Una battaglia in cui abbiamo sempre creduto, perché convinti che proprio nei cambiamenti delle modalità lavorative si trovi una delle chiavi dell’attrattività del nostro settore e perché, se vogliamo una PA smart, è necessario cambiare i processi interni, prima ancora di quelli rivolti verso l’esterno.

Altra questione spinosa è quella dei salari. Se guardiamo le retribuzioni contrattuali e le variazioni in percentuale tendenziali mensili del 2023-2024, vediamo come gli impiegati non dirigenti della PA abbiano una crescita inferiore della propria retribuzione contrattuale rispetto agli stessi nel settore privato: solo nel giugno 2024 c’è un + 1,6% contro un 4,2%.  Anche in questo caso, come per lo smart working, un passo in avanti è stato fatto e, con la firma del contratto, ci sarà un incremento medio degli stipendi pari a 165 euro lordi a regime, destinato ad aumentare con il rinnovo dei contratti del triennio 2025-2027, con la speranza di giungere a un livello stipendiale che sia in linea con i tempi che stiamo vivendo e con il resto d’Europa.

Tutto questo permetterebbe di risolvere un altro problema che è l’assenza di giovani nella nostra PA. Se è vero che i Millennial partecipano ai concorsi pubblici – pur, spesso, ritirandosi appena vincono il concorso e preferendo un altro tipo di lavoro – è anche vero che la generazione Z che si candida ai concorsi è sotto al 30%. Questo dato meramente anagrafico, ci dice in realtà molto di più: racconta di una PA non aggiornata, con una formazione poco innovativa e che ha bisogno di un cambio di passo non solo perché adeguare gli stipendi o le modalità lavorative al mondo che sta cambiando è giusto, ma anche perché è necessario se vogliamo ritrovarci un sistema pubblico che funzioni.     



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