È arrivato il giorno dell’inaugurazione di Donald Trump alla guida della nazione più influente al mondo da un punto di vista geopolitico ed economico. Questo accade dopo un accordo che ha portato alla firma di un cessate il fuoco, richiesto da attivisti, organizzazioni umanitarie, associazioni per i diritti umani e da tutte le persone che hanno un minimo senso di empatia non intriso di nazionalismo, suprematismo bianco o razzismo. Il cessate il fuoco ha, almeno temporaneamente, fermato il genocidio di Gaza. Non c’è da farsi troppe illusioni sul futuro, viste le dichiarazioni di alcuni casi psicopatologici del gabinetto israeliano, ma una cosa è certa: in soli 0 giorni di governo, Donald Trump ha ottenuto un cessate il fuoco che Joe Biden non ha neppure tentato in oltre 470 giorni di atrocità indiscriminate contro civili inermi a Gaza. Biden si è guadagnato il soprannome “Genocide Joe” e passerà alla storia per aver attivamente contribuito al genocidio più documentato della storia.
Qualche tempo fa, scrivevo sulle cause che hanno generato, più che la vittoria di Donald Trump, la sconfitta di Kamala Harris, vicepresidente dell’amministrazione Biden. Ho citato alcuni exit poll, un sondaggio della CBS News e la schiacciante vittoria della candidata palestinese Rashida Tlaib che, durante l’incontro con il premier israeliano Netanyahu, aveva esposto cartelli con le scritte “criminale di guerra” e “colpevole di genocidio”, mentre la maggior parte dei deputati del Congresso rivolgeva fragorosi applausi a chi è ora un ricercato della Corte Penale Internazionale. Argomentavo che molti elettori coscienziosi avrebbero potuto scegliere di astenersi piuttosto che avallare politiche associate a un genocidio. Sottolineavo inoltre la tragica ironia di un partito che si definisce “democratico”, ma che ha preferito compiere un suicidio politico piuttosto che rinunciare al sostegno di un genocidio.
Le mie analisi hanno attirato qualche critica costruttiva, alcune reazioni bislacche e attacchi che non hanno superato la soglia della pietà.
A distanza di qualche mese, è ora possibile fornire alcuni elementi aggiuntivi per condurre un’ulteriore analisi delle cause che hanno contribuito a questa sconfitta. Un nuovo sondaggio dell’Institute for Middle East Understanding Policy Project/YouGov mostra che il conflitto di Gaza è stato un fattore chiave nella sconfitta di Kamala Harris. Secondo il sondaggio, Gaza è la ragione principale per cui milioni di persone, che nel 2020 avevano votato per il presidente Joe Biden, hanno deciso di non recarsi alle urne nel 2024. Il 29% di questo gruppo di elettori ha dichiarato che la “questione più importante” era “porre fine alla violenza di Israele a Gaza”. Al secondo posto si è classificata l’economia (24%), seguita dall’assistenza sanitaria e dalla sicurezza sociale (12%), dall’immigrazione e dalla sicurezza delle frontiere (11%), dall’assistenza sanitaria (10%) e dalla politica sull’aborto (9%).
I sondaggi sono ovviamente soggetti al problema del bias di self-reporting e in passato alcuni di essi si sono rivelati inaffidabili. Consideriamo allora i voti alle elezioni del 2024. In questo caso, i dati non possono mentire. Mostrano chiaramente che milioni di persone che hanno votato per Joe Biden nel 2020 sono rimaste a casa: la vicepresidente Kamala Harris ha ottenuto infatti circa 75 milioni di voti alle elezioni del 2024, ben al di sotto dei circa 81 milioni ottenuti dal presidente Joe Biden nel 2020. Inoltre, i dati mostrano chiaramente che sono bastati tre Stati in bilico, che Donald Trump ha conquistato, per far perdere le elezioni a Kamala Harris: Pennsylvania (19 voti elettorali), Michigan (15 voti elettorali) e Wisconsin (10 voti elettorali). Se avesse vinto in questi stati, Kamala, che ha ottenuto 226 voti elettorali, avrebbe raggiunto i 270 seggi necessari per la vittoria.
Cosa ha spinto gli elettori a votare Trump o a non votare Harris negli Stati in bilico? Non esiste una causa singola in grado di spiegare in modo univoco fenomeni sociali così complessi. Dallo stesso sondaggio citato prima tuttavia emerge che in Arizona, Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, Gaza ha contribuito a spingere gli elettori di Biden a non votare Harris. Nel caso della Pennsylvania, il fattore di maggiore peso esplicativo riguarda le preferenze politiche della popolazione ispanica che ha manifestato la propria insoddisfazione rispetto alle decisioni economiche del governo. Oltre all’economia, tuttavia, emerge chiaramente un effetto sul voto generato da molti elettori che sono passati dai Democratici a un terzo partito o che non si sono recati alle urne. In Michigan, dove c’è un’ampia proporzione di elettori di religione musulmana, Gaza ha giocato un ruolo chiave: in città come Dearborn, la Harris ha perso oltre la metà dei voti ricevuti da Biden nel 2020. In Wisconsin, dove il movimento di protesta contro il presidente Biden alle primarie ha raccolto più di 47.000 voti, è stato senza dubbio il genocidio di Gaza a spingere molti democratici a non votare la Harris.
Nel 1992, Bill Clinton vinse le elezioni americane grazie allo slogan coniato da James Carville: “It’s the economy, stupid!”. Parafrasandola in modo più benevolo, si potrebbe scrivere che a far perdere le elezioni ai democratici nel 2024 “non è stata solo l’economia, ma anche il genocidio, bellezza!”.
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