Startup e capitali, il nuovo scenario richiede fondamentali solidi

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Questo articolo è scritto da Carlo Gualandri, CEO e fondatore della scaleup fintech Soldo. L’autore compie un’analisi sull’evoluzione dei mercati dei capitali e delle regole di ingaggio per gli investitori per startup e scaleup. Lo fa dal suo punto di vista di imprenditore di un’azienda fintech finanziata da grandi fondi di venture capital e dall’osservatorio che ha vivendo a Londra che, (nonostante la Brexit), resta la capitale europea dell’innovazione d’impresa, dei finanziamenti in venture capital. 

Il 2025 è l’anno della resa dei conti per startup e scaleup. Le regole del mercato e degli investimenti sono cambiate ed è arrivata l’ora di dimostrare che i business sono solidi, che raggiungono il punto di sostenibilità e che soprattutto, la crescita può essere sostenibile. 

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Fino al 2021/2022, e da circa il 2008, abbiamo vissuto in uno scenario ove i tassi di interesse si sono progressivamente azzerati nei principali mercati, diventando addirittura negativi nella zona euro, prima come reazione alla crisi finanziaria e poi come risposta alla pandemia che ha provocato l’iniezione da parte dei governi di grandi masse di capitale a sostegno delle economie e quindi delle aziende. Ciò ha creato uno scenario dove, dal punto di vista degli investitori, le asset class più tradizionali non rendevano più e quindi si è assistito a uno spostamento dell’attenzione, e quindi anche dei capitali, verso soluzioni più rischiose ma anche più promettenti, come per esempio, le azioni delle big tech e il venture capital, scelte animate anche dalla cosiddetta ‘FOMO’, sigla che sta per “fear of missing out”, ovvero timore di restare fuori dai giochi e degli investimenti che avrebbero generato ritorni cospicui. Non è quindi un caso che, anche guardando i soli dati italiani, il 2022, sia stato l’anno in cui si sono registrati i maggiori investimenti in startup con la cifra complessiva di 1,86 miliardi di euro (fonte: Growth Capital – Italian Tech Alliance) come risultato dell’onda lunga del 2021. 

Questa iniezione di capitale a tutti i livelli: mercato azionario, grandi fondi di venture capital, fondi più piccoli, ha portato a una crescita della disponibilità di soldi in cerca dei deal migliori e di conseguenza a una crescita delle valutazioni delle aziende startup e scaleup, comprese quelle di aziende con fondamentali discutibili. Non si è però trattato di una evoluzione legata alla singola impresa ma di tutto l’ecosistema e verso la metà del 2022 l’intera impalcatura ha iniziato a traballare. I tassi di interesse sono velocemente saliti, così come l’inflazione, e i soldi disponibili per gli investimenti in imprese innovative hanno iniziato a diminuire e così anche le valutazioni delle aziende e chi si è trovato a fare round di investimento in quel momento ha trovato condizioni molto diverse o nessuna offerta. Molte aziende hanno terminato la loro corsa, non tanto perché erano cattivi progetti, ma perché lo schema era cambiato. Si è tornati in quel momento a uno scenario molto più realista, attento alle metriche reali, e quindi si può affermare che questo cambiamento sia da accogliere come salutare. 

Il 2023, poi ha mostrato ancora meno soldi, più difficoltà a raccogliere, valutazioni basse e diluizioni più significative con sistemi di protezione per gli investitori talvolta anche molto aggressivi per assicurarsi posizioni di privilegio in caso di exit. 

Per attirare gli investitori è diventato oggi essenziale per le imprese mostrare la capacità di essere sostenibili e competitive sul mercato e qui entrano in gioco le strategie di adattamento condotte con due visioni prospettiche diverse: a breve termine puntando a rassicurare gli investitori che è stato compreso il cambio di scenario e si sta reagendo velocemente per mettere in sicurezza l’azienda, e a medio termine definendo un percorso che porti al break even e successivamente alla crescita della profittabilità. Nel primo caso si agisce sui costi, a partire dai licenziamenti, per ridurre il cosiddetto burn rate, rischiando però di mettere in crisi l’impresa stessa se si tenta di cambiare troppo e troppo velocemente. Nel secondo, si cerca di elaborare un modello di crescita sostenibile dove la vera sfida è conciliare il break even con un trend di sviluppo importante, sia delle revenue che della marginalità, che però deve continuare ben oltre questo traguardo iniziale. Questo è fondamentale perché la valutazione delle startup e scaleup è influenzata dal ritmo di crescita, la growth, più che da ogni altro parametro.

Sì è quindi di fronte a un cambio filosofico, non più le aziende che crescono grazie alle continue iniezioni di capitali sperando poi di diventare grandi a sufficienza per conquistare il mercato, ma imprese che, sì fanno leva sul capitale di rischio, ma devono mostrare di avere dei fondamentali solidi e quindi poter puntare, ad un certo punto, ad una significativa generazione di cassa. Va da sè che questo vale soprattutto per le scaleup ma anche nel caso delle startup, che per definizione non hanno revenue in quanto nella fase iniziale, questo approccio filosofico deve fare parte della cultura imprenditoriale e aziendale. Prima o poi arriverà il momento in cui toccherà a loro di mostrare questi risultati, è solo questione di tempo.

Quindi, tornando a guardare il calendario, nel 2024 siamo al punto in cui sono passati circa 3-4 anni da quando le aziende che hanno fatto raccolta nel momento di picco della bolla si trovano nella situazione di doversi rifinanziare. Mediamente un round generava di solito un sostegno finanziario per circa 24 mesi, e gli imprenditori dovevano iniziare a pensare al round successivo dopo 12-18 mesi. Ora, anche se la durata dei capitali raccolti è stata estesa dalla riduzione del burn rate, i nodi sono destinati comunque a venire al pettine. Se nel 2021 come abbiamo visto i capitali erano abbondanti e le valutazioni molto alte, ora è esattamente l’opposto il mercato ha aspettative molto diverse

Le imprese che hanno cambiato rotta e sono cresciute bene, che sono promettenti, che magari hanno già metriche interessanti continueranno a trovare investitori desiderosi di sostenerle, anche se a condizioni diverse da quelle di prima. Chi non è riuscito a regolarsi e brucia ancora tanta cassa, avrà più difficoltà; alcune aziende chiuderanno, altre dovranno accettare condizioni estremamente stringenti dagli investitori. La sola eccezione sono le aziende che innovano nell’intelligenza artificiale che è la mini bolla attuale, unico caso in cui può avere ancora senso di parlare di FOMO. 

Il 2025 è quindi l’anno dell’esame. Quelli vicino al break even e che lo possono raggiungere nel corso del 2025 o al più tardi all’inizio del 2026 potranno andare avanti ed entreranno in un’altra fase dello sviluppo dell’azienda visto che il punto di pareggio è solo l’inizio di un percorso che deve inevitabilmente continuare a produrre crescita. E qui diventa importante capire come si è raggiunto il break even. Se lo si è fatto in modo strutturato, pianificato e strategico, questo assicurerà di poter continuare a crescere, se invece si è cercato di ridurre il burn rate all’ultimo momento con tagli drammatici, questo rischierà di creare aziende che si sono salvate ma sono troppo deboli per poter crescere in modo significativo e che quindi rischiano di rimanere in un limbo. Per superare l’esame, quindi, non sarà sufficiente mostrare nel breve i numeri ideali agli investitori, ma servirà dimostrare capacità di crescita e di intelligente gestione degli investimenti negli anni a seguire. 

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Queste considerazioni valgono per le aziende più mature ma sono anche preziose per quelle più giovani che cominciano ora. Anche se è vero che gli investimenti early stage seguono regole diverse rispetto a quelli che sostengono le fasi di scaleup, è anche vero che per i nuovi entranti è assai prezioso guardare cosa stanno facendo quelli che sono arrivati al momento dell’esame ora, perchè da questo possono imparare molto. Comprendere che già nelle fasi iniziali è importante definire delle dinamiche, un approccio e una filosofia sostenibile in termini di business che diventino patrimonio dell’azienda e restino validi nelle future fasi di crescita. Perché la bolla è implosa e un periodo come quello degli anni fino al 2021-2022 difficilmente tornerà nel breve. 

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