Es una tontería, ovvero una fesseria, paragonare Lamine Yamal a Lionel Messi. Lo pensa e lo ha detto Pablo Gavi, centrocampista del Barcellona. Ci sarebbero almeno una decina di motivi per dargli ragionw, per smontare a priori una tesi che sembra avere il suo solo fondamento su una suggestione collettiva, qualcosa che ha a che fare con la mistica, più che con la ragione. Forse, prima di entrare nel merito di un paragone per molti fantasioso, bisognerebbe chiedersi da dove nasca l’esigenza di accostare Lamine Yamal all’otto volte Pallone d’Oro. Cioè, perché tutti ne stiamo parlando? Come mai, nel bel mezzo di un’azione avvolgente del bambino tremendo del Barça sulla fascia destra, ci sembra di intravedere di nuovo Messi, anche solo per una frazione di secondo? C’è davvero qualcosa di Messi nel calcio di Lamine Yamal?
Le prime settimane del 2025 hanno visto Yamal spadroneggiare nel Clásico di Jeddah, punendo un’altra volta il Real Madrid dei Galacticos 2.0, dopo essere diventato – lo scorso ottobre – il più giovane marcatore nella storia della partita più grande al mondo. Dopo l’1-0 di Mbappé, su un filtrante immaginifico di Lewandowski, Lamine Yamal ha seminato Mendy con uno scatto dei suoi, ha ricevuto ad altezza trequarti e con due tocchi e mezzo si è accentrato quanto basta per appoggiare dolcemente in porta l’1-1. Eccola, allora, quella sensazione di déjà vu. La sensazione Leo Messi abbia già segnato un gol del genere prima di lui. Ma quale gol della Pulce ci ricorda, esattamente? Forse uno. Forse nessuno. Forse centomila.
Lo scorso 4 novembre, Lamine Yamal aveva esattamente 17 anni, 3 mesi e 21 giorni, cioè la stessa età in cui Messi debuttò in una partita ufficiale con la maglia del Barcellona (il 16 ottobre del 2004 contro l’Espanyol). Ma nel tempo trascorso dall’esordio (a 15 anni, 9 mesi e 16 giorni) a quel preciso momento, il catalano è riuscito a segnare 13 gol e a realizzare 17 assist in 66 partite, oltre ad aver esordito – e vinto un Europeo da protagonista – con la Spagna. Secondo un parallelismo esclusivamente numerico, quindi, Lamine Yamal ha già superato il primissimo Leo Messi. Solo che i numeri, così come i record di precocità, rappresentano un piano di racconto solo parziale, non esaustivo. Per rintracciare le ragioni più profonde dell’accostamento soprattutto sentimentale tra i due, bisogna parlare innanzitutto di eredità. Perché è in parte una questione di legacy, una specie di dinastia iniziata ormai vent’anni fa con Messi, che a Barcellona oggi vedono proseguire nelle gesta del teenager catalano. Lo stesso, qualche anno fa, era accaduto con Ansu Fati, fino a fargli ereditare la 10 sacra di Leo. Persino un contemporaneo di Messi, ovvero Bojan Krkic, era stato a sua volta etichettato come “il nuovo Messi” in Catalogna. Ma nessuno di questi, fino a oggi, è riuscito anche solo ad andarci vicino. Ma allora perché, stavolta, ci sembra invece la volta giusta?
A pensarci bene, a parte il ruolo e il piede mancino, non ci sarebbe quasi niente di Messi in Lamine Yamal. Tanto che il diretto interessato, di recente, ha raccontato di avere come idolo un’altra leggenda blaugrana: Neymar. Proprio il brasiliano, dopo la manita in Copa del Rey al Betis (gol e assist di Lamine, tanto per cambiare), ha commentato un post Instagram di Yamal, scrivendogli «Sei molto brasiliano. Baila Craque». Effettivamente, per il modo di dribblare e per la fisicità, semmai il giovane del Barça ricorda più Ney dell’argentino. Rispetto al giovane Messi, poi, Yamal è a oggi meno attaccante e più rifinitore (13 assist stagionali), tanto che in Spagna hanno ribattezzato Lamininha il passaggio favoloso di trivela per Raphinha contro il Villarreal. E in generale non sono un caso i 46 gol complessivi segnati fin qua dal brasiliano e dall’eterno Lewandowski, entrambi esaltati dalle qualità del loro compagno di reparto. Ma non si tratta solo di una questione tecnica. Si guardino, per esempio, le foto e i video dei festeggiamenti di Lamine Yamal dopo la vittoria in Supercoppa: ce n’è uno in cui sembra un cosplayer di Neymar ai tempi del Santos, con occhiali da sole alla moda e una cassa bluetooth in mano, mentre danza a ritmo di musica. L’immagine più distante possibile dal modo intimo e solitario con cui Messi viveva – e vive – il calcio. Lamine Yamal, neppure maggiorenne, è forse già più star di quanto Messi non sia mai stato in carriera. Gli piacciono la trap e il reggaeton e veste abiti oversize. Viaggia in prima classe e ha un autista privato, neanche fosse Willy il Principe di Bel Air. Sembra a suo agio sotto ai riflettori, come quando riposta sul suo Instagram il video in cui irride un avversario con un tunnel.
Al di là di tutte le differenze tra i due, c’è però qualcosa di generazionale nel modo in cui Lamine Yamal sta cambiando il calcio, proprio come – a metà degli anni Duemila – era accaduto con Messi. Forse la sola cosa che li accomuna, oltre ogni aspetto tecnico e statistico, si potrebbe sintetizzare in una parola, e quella parola è identità. C’è un racconto dello scrittore argentino Hernán Casciari, dal nome “La valigia di Messi”, che contiene una serie di aneddoti dai tempi in cui Messi, da bambino, si trasferì a Barcellona. Ma la storia di Messi risulta un espediente per raccontare quella di altre migliaia di persone che emigrarono dall’Argentina alla Catalogna nello stesso periodo, e che in quel bambino riposero le loro speranze e i loro sogni, e grazie a lui allontanarono la nostalgia. Ci riuscirono perché Lionel non aveva mai perso – e non l’avrebbe persa mai – la sua identità di argentino. Secondo Casciari, Messi era la tipologia di immigrato che aveva “la valija sin guardar”, ovvero di quelli che – quando lasciano casa per andare altrove – non sigillano la loro valigia in un armadio. Ma hanno invece la valigia sempre pronta. Per ripartire, magari per tornare indietro. In un mondo lontano da casa, Messi divenne per quelle persone qualcuno in cui riconoscersi. Gli argentini di Barcellona si svegliavano il sabato mattina per guardare le partite delle giovanili del Barça e nelle chat di quegli anni la domanda più frequente era «a che ora gioca il rosarino?». In questo senso, sin da bambino e prima ancora di essere il Messi che conosciamo oggi, l’argentino è stato un simbolo generazionale.
Oggi, oltre vent’anni dopo, Lamine Yamal è il calciatore più identitario della sua generazione. Nasce a Matarò, nel barrio popolare di Rocafonda, un posto difficile in cui crescere. Un quartiere che in Spagna hanno definito estercoleros multiculturales, ovvero letamai multiculturali, caratterizzato da una forte presenza di immigrati, soprattutto africani. Tra l’altro Lamine Yamal non è un nome e un cognome ma un nome composto. Il cognome è Nasraoui Ebana, dall’unione di quello del padre e quello della madre, due emigranti rispettivamente del Marocco e della Guinea Equatoriale. La sua famiglia – come tante del barrio – non poteva permettersi il calcio, quindi lui giocava solo per strada. La sua scuola è stata la calle di Rocafonda, prima di entrare e crescere nella Masia. «A volte sembra che le mie gambe vadano da sole, non penso a quello che devo fare. La strada ha plasmato il mio calcio», ha raccontato Yamal a ESPN Deportes.
A Rocafonda, Lamine ci pensa ogni volta che segna un gol. Con le dita della mano sinistra mima un 3 e uno 0, con quelle della destra un 4. E le incrocia per formare il 304, il codice postale del suo quartiere. Come se rivendicasse tutte le volte le sue origini. L’influenza di Lamine Yamal risiede nell’aver mostrato l’altra faccia del suo quartiere – quella innocente, con l’apparecchio – al mondo. In un calcio di campioni costruiti in laboratorio, Lamine Yamal rappresenta un ritorno al romanticismo. Non si tratta soltanto di vedere un talento precoce, per certi versi ancora grezzo, ma di rivedersi in lui. Di sognare di passare dalla strada allo stadio, dalle stalle alle stelle, proprio come ha fatto lui. È come se il calcio di Lamine Yamal ci riportasse al tempo in cui eravamo bambini anche noi. Proprio come ha fatto Messi prima di lui.
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