Che si fa, cari lettori, quando un ministro in Senato sventola i disegni di legge (615, 62, 273 e annessi) proclamando che stavolta si cambia tutto, e subito dopo un’opposizione scalciante grida che si spezzerà il Paese come un grissino?
Si ride o si piange?
O ci si mette a ballare in corridoio, come in un film tragicomico, sperando che qualcuno blocchi il girotondo?
Certo, in giro si sente dire:
«Basta con questo barattellum!
Prima il premierato forte, poi l’autonomia…
Sembra un mercatino dove scambi panini al salame con ciambelle calde!».
Il senatore Tizio risponde:
«No, l’autonomia differenziata la vogliamo tutti! L’hanno scritto nella Costituzione, no?».
E Caio ribatte:
«Sì, peccato che l’articolo 116, terzo comma, sia un rebus! Dove lo Stato taglia, le Regioni ramazzano… o era il contrario?»
Autonomia, autonomia, autonomia.
Autonomia di qua, autonomia di là, un mantra che rimbalza negli emicicli romani e nelle piazze di Milano, di Bologna e di Napoli.
Autonomia evocata come il miglior rimedio ai mali del mondo e, nel contempo, accusata di esser la peste bubbonica che farà a pezzi la nostra bella Penisola, cucita con tanta fatica dopo secoli di divisioni.
E allora, ’sta benedetta autonomia è un ponte che unisce o un fossato che divide?
La retorica “nord e sud”, “ricchi e poveri”, “privilegiati e sfigatelli” basta e avanza per riempire i talk show.
Il povero cittadino, con un orecchio incollato all’iPhone, si sente catapultato in una sceneggiatura di Sergio Leone.
Da un lato i duri padani che urlano:
«Vogliamo gestire i nostri soldi in casa nostra!»,
dall’altro i meridionali che protestano:
«Non si lascia nessuno indietro!».
Titolo V, art. 116, LEP, LSD… pardon, LEA, o era LEP?
Tra un acronimo e l’altro, par di vedere un test di chimica. Servono i LEP (i Livelli Essenziali delle Prestazioni) per garantire i diritti civili e sociali, dicono.
Poi c’è chi dice:
«Sì, ma come li finanziamo se non c’è un euro in più?».
E giù polemiche, mozioni, correzioni, post su Facebook.
La sanità in Calabria funziona allo stesso modo che in Veneto?
E la scuola in Sicilia vale quella lombarda?
Se aggiungiamo i trasporti con orari da Pleistocene per le aree interne, il caos è servito come un piatto di spaghetti al peperoncino… brucia, eh?
Ma la vera star del momento – la più citata e “strapazzata” in aula – è lei:
la Costituzione!
Hanno fatto un lifting al Titolo V nel 2001 e non sono mai riusciti a farlo funzionare davvero.
Da allora sono fioccate intese, pre-intese, DPCM e contratti vari. Tutti pronti a promettere:
«Cari cittadini, meno burocrazia, più vicinanza, più efficienza!».
Peccato che, se chiedi ad un pendolare pugliese in viaggio su un treno sgangherato, magari ti dica:
“Ma veramente io di miglioramenti ne vedo pochi…”.
Oppure, se citi la coraggiosa piattaforma di negoziati di una Regione X, scopri che la Regione Y ha già inventato un altro schema.
E la confusione regna sovrana.
Sono tutti – o quasi – convinti che stavolta con la “legge-quadro” si farà chiarezza.
Benissimo.
Se ne discute:
ci vorranno i LEP, i costi standard, i “fabbisogni”.
Un arsenale di tabelle e tabelle e tabelle, un fiume di calcoli che farebbe impallidire Einstein.
Ma su questo tutti glissano:
per “fabbisogni standard” la Calabria e il Piemonte devono fare i conti con la stessa formula?
E se risulta che in Molise ci vogliono più soldi che in Lombardia – o viceversa – per gestire la sanità?
Chi mette la differenza?
O dirotteranno i fondi del PNRR – quelli che dovevano ridurre i divari –
su due-tre Regioni più pronte, lasciando altrove le cattedrali nel deserto?
E intanto, in Aula, volano citazioni di Presidenti passati e i cronisti gongolano:
«E voi, PD, che avete modificato la Costituzione, ora negate la riforma?»
«E voi, Lega, che volevate la secessione, ora parlate di patriottismo?»
«E Forza Italia, che era tutta per il federalismo, adesso ci mette i paletti?
E i 5 Stelle?
Prima la sbandieravano, poi la rinnegano, anzi no!»
Uno scambio degno delle grandi commedie all’italiana, con annessi finti litigi e baci dietro le quinte.
Altro che “maggioranza coesa”!
Il cosiddetto “barattellum” – premierato in cambio di autonomia differenziata – pare una corsa al mercatino:
“io ti cedo un potere, tu me ne dai un altro”.
Ma poi?
La gente è stanca di giochini.
Resta la domanda delle domande: l’autonomia differenziata è la panacea o il colpo fatale?
Che cos’è, un balsamo miracoloso o una coltellata?
Chi si fida dei piani lanciati da un Governo e da Regioni con organici ridotti all’osso, funzionari in fuga e bilanci in passivo?
E i troppi vincoli di spesa?
Altroché:
a forza di tagliare e ricucire, rischiamo un patchwork di piccoli staterelli e sai che figurone in Europa,
proprio mentre la pandemia e la crisi energetica ci hanno insegnato che l’unione fa la forza…
Eppure, qualcuno giura: “Basta centralismo! Dal territorio nascono soluzioni migliori!”
E forse hanno ragione, perché in altri Paesi il sistema federale funziona.
Ma gli stessi Paesi spesso hanno un governo centrale di ferro, capacissimo di dire:
“Finché non assicuri quei diritti, non vedi un euro”.
La loro equità la fanno con i fatti, non a chiacchiere.
E noi?
Siamo all’ennesimo film a episodi.
Ogni Regione recita una parte e le trame si incrociano in un possibile meltdown:
c’è chi vuole più competenze su ambiente, energia, infrastrutture… e chi dice:
“Non provate a toccare la scuola!”.
C’è chi sogna di assumere i medici con bandi regionali e chi annuncia:
“Ci porterete via i docenti migliori!”.
C’è chi alza la bandiera rossa:
“Nessuna resa agli egoismi!”
e chi sbraita con la bandiera verde:
“Ridateci i nostri soldi, rimanete pure in punizione!”
In un contesto così variegato, la politica rischia di smarrire la ragione.
Alzi la mano chi, tra i comuni mortali, sa che i disegni di legge 615, 62 e 273 esistono
e che si discute di votazione finale qualificata ai sensi di quell’articolo 120, comma 3, del Regolamento del Senato…
Roba da nerd costituzionalisti o da affezionati dei talk show di terza serata.
Intanto, l’ennesima sospensione,
la chiusura, la ripresa, la mozione di non passare agli articoli,
la contraerea degli emendamenti, la discussione di Commissione…
Eccoci, appunto:
la discussione fiume, la baruffa chiozzotta e, in conclusione, l’immancabile, splendido, aggettivatissimo
“Non ci stiamo!”
al quale farà eco un
“Vi conviene!”
e poi un
“Zitti, voi!”
e si va a votare.
Insomma, un film che, se avesse la regia di Fellini, ci farebbe applaudire con lustrini e lanci di coriandoli.
Ma qui siamo al Senato, signori, e il finale non è così poetico.
Conclusione?
L’autonomia è lì, in mezzo, come una valigia pesante che tutti si passano di mano in mano,
gridando al miracolo o alla rovina, come un microfono per karaoke in una sagra di paese.
Sarà la rivoluzione o l’ennesima bolla di sapone?
Si vedrà.
Intanto, l’unica certezza è che la polemica infuria, e che l’epilogo, qualunque esso sia, ci troverà col fiato corto.
Ma, come spesso accade nella commedia all’italiana, a chi resta col cerino in mano?
Forse a noi cittadini, disorientati e un po’ spelacchiati, che restiamo in attesa di risposte.
E, nel dubbio, l’Italia è sempre qui,
una e centomila, con una Costituzione che – direbbero i saggi – bisogna applicarla bene, non sbandierarla per convenienza.
Certo, i “padri costituenti” non immaginavano un tale teatrino, ma forse, con un pizzico di sarcasmo, avrebbero commentato:
“Sarà l’ennesima scappatoia per non ammettere che il Paese va governato e basta.”
Sipario?
Tutt’altro: la farsa continua.
E tra spacca e unisci, è più probabile che si resti a metà, con la solita ambiguità.
Solleviamo gli scudi o stappiamo lo champagne?
A voi la sentenza.
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