La domanda di formazione delle PMI oggi: riflessioni da un’indagine recente

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Le Micro e le Piccole e Medie Imprese (PMI) non rappresentano solamente l’ossatura del nostro tessuto produttivo. Hanno un riconosciuto valore sociale e culturale, frutto tanto delle vocazioni produttive italiane quanto di un preciso modo di fare impresa “dal basso”, storicamente abituato a puntare tutto sulle proprie risorse e capacità.

Negli ultimi tre decenni, tuttavia, Micro e PMI si sono confrontate con mutamenti di contesto senza precedenti, che hanno mostrato i limiti di una simile autonomia d’azione. La formazione, in questo contesto, può far accedere le imprese a conoscenze e competenze nuove e contribuire al mantenimento della competitività. Tra le Micro e PMI sembra però prevalere un suo utilizzo con mera funzione di addestramento, frutto di una visione basata sui mestieri tradizionali.

Al fine di esplorare a fondo la domanda di formazione delle PMI e sostenerne la maturazione, l’agenzia formativa Solco – con la quale collaboro – ha partecipato a un’indagine promossa dall’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano. Vi anno collaborato diversi stakeholder del settore, somministrando un questionario a un campione di PMI statisticamente rappresentativo dell’universo nazionale. Ecco qualche commento ai risultati.

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L’approccio delle PMI alla formazione

Sebbene la metà delle imprese consideri la formazione parte integrante della strategia aziendale, ciò non è confermato dai numeri sull’adozione di attività chiave quali la valutazione delle competenze presenti in azienda (15% delle PMI) e l’analisi previsionale dei fabbisogni emergenti (11%). A ciò si aggiunge che, a fronte di un 70% di PMI che realizza un buon assortimento di attività formative (corsi strutturati, partecipazione a fiere, visite studio ed attività informali quali job rotation, affiancamento e mentoring), il rimanente 30% non va oltre la formazione obbligatoria o si limita alle sole modalità informali. Tra le motivazioni figurano l’assenza di tempo (per il 40% delle PMI), la mancanza di una struttura organizzativa HR dedicata (32%) e la convinzione che la formazione non sia una priorità (23%), che risultano le principali barriere di accesso.

Un terzo delle PMI dunque non attinge in alcun modo a conoscenze esterne, con un chiaro rischio di isolamento.

I contenuti della formazione e le modalità di erogazione

Negli ultimi due anni, la maggioranza delle PMI (73%) ha svolto formazione su competenze tecnico-professionali o soft skill funzionali all’operatività. Significativo anche l’ambito della digitalizzazione (61%) ed in ultimo la transizione green (39%). Nelle intenzioni per l’anno a venire, tuttavia, quest’ultima è l’unica ad aumentare, trainata dal fabbisogno di conoscenze sui nuovi adempimenti normativi, seguiti dall’impiego di tecnologie per l’efficientamento ed il risparmio energetico. In ambito digitale, nell’ultimo biennio hanno prevalso attività sui software gestionali (una PMI su tre), cui seguono gli strumenti di produttività individuale e le tecnologie 4.0. Intorno al 20% le PMI che hanno affrontato temi di digitalizzazione di base (sicurezza informatica, GDPR, sistemistica), mentre meno del 10% ha svolto attività formative su tecnologie di frontiera (IA, quantum computing, blockchain, etc.). Nelle previsioni per l’anno a venire le priorità si distribuiscono in modo più omogeneo e meno chiaro, con una posizione stabile della digitalizzazione di base.

Venendo alle modalità formative, la lezione frontale in presenza rimane quella nettamente più utilizzata (58%), ma un terzo delle PMI ricorre ormai anche alla formazione a distanza sincrona, mentre solo una su cinque fa affidamento all’e-learning. Decisamente minoritarie modalità più sofisticate quali il business game (11%).

La gestione dei processi formativi

Per l’erogazione della formazione oltre la metà delle PMI si rivolge agli enti formativi (58%), ma anche a fornitori di soluzioni tecnologiche o singoli docenti (entrambi al 35%); molto marginale – ed allarmante – il coinvolgimento di università e centri di ricerca (5%) e degli Innovation Hub (Competence Center e simili, 2%), nati proprio per servire in via prioritaria le PMI.

Meno della metà delle PMI affida all’esterno le attività ausiliarie al ciclo formativo – in primis ricerca di finanziamenti, analisi dei fabbisogni e progettazione. L’affidamento ricade equamente su consulenti in ambito formativo, commercialisti e consulenti del lavoro, associazioni di categoria.

In merito agli investimenti in formazione, il 32% delle PMI ricorre in prevalenza a risorse proprie, mentre un ulteriore 54% usa risorse sia interne sia esterne. Proprio le Piccole imprese, che più di tutte dovrebbero beneficiare dei finanziamenti, investono di tasca loro più delle Medie imprese (+10%). Tra le ragioni ipotizzabili, una minore conoscenza delle opportunità disponibili ed il peso degli oneri amministrativi.

Concludendo…

La maggioranza delle PMI italiane non sembra fare un utilizzo strategico dei processi formativi, ricorrendovi occasionalmente a sostegno delle attività ordinarie oppure in maniera reattiva di fronte ai cambiamenti. Tra le barriere ad un uso più maturo, quella culturale ci sembra la più rilevante, poiché alimenta l’isolamento delle PMI. Senza la consapevolezza del ruolo giocato oggi dalla conoscenza è difficile pensare ad una formazione che incida sulla qualità di prodotti e servizi, sull’innovazione a supporto delle transizioni e sulla produttività. Al riguardo, non può essere trascurato che i piccoli imprenditori hanno in media livelli di istruzione molto modesti, fattore correlato alla propensione ad innovare, all’adozione di tecnologie ed alla sopravvivenza di impresa. Alle PMI serve dunque un sostegno culturale su più livelli da parte dell’ecosistema di riferimento. Gli enti formativi devono assumere un ruolo più consulenziale, anticipando i fabbisogni delle PMI e personalizzando contenuti, modalità e metodologie didattiche; gli attori della rappresentanza devono fare un grande sforzo di sensibilizzazione ed informare costantemente sugli scenari di settore, oltre a tutelare l’accesso delle imprese e dei lavoratori più a rischio. Infine, i fondi interprofessionali dovrebbero ampliare le opportunità di accesso alla formazione per le PMI e destinare risorse per la personalizzazione di tutti i servizi del ciclo formativo.

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Gli stakeholder coinvolti nell’indagine sono impegnati nella stesura di un documento con indicazioni per le Istituzioni, nel tentativo di fornire risposte ad ampio spettro e coordinate. Data la complessità del tema, sembra la migliore strategia possibile.

Bibliografia

  • Colli, A. (2010),  “La piccola impresa nello sviluppo economico italiano”. In Libertà e benessere: l’Italia al futuro (pp. 191-222). Editore SIPI.
  • Varchetta, G., Cepollaro, G., Samuelli, F., Veronesi, F. (2006), “Gestione delle risorse umane e management della «rincorsa». Una ricerca sulle pratiche e le competenze per la gestione delle risorse umane nelle piccole imprese”, in Sviluppo e organizzazione, n. 217.



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