Il cibo piemontese di gennaio: zuppa di cavoli

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Il cibo piemontese di gennaio: zuppa di cavoli

Cultura e tradizioni a tavola

Silvano Osella

19/01/2025

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In questo periodo, nel vecchio Piemonte, dove il freddo e la neve non lasciavano nulla da raccogliere negli orti perchè tutto coperto oppure gelato. Soltanto i cavoli riuscivano a sopravvivere e donare qualcosa di fresco ai poveri contadini piemontesi, ma le riserve fatte nell’estate e nell’autunno regalavano momenti felici  nelle sere dove le chiacchiere e i giochi a carte aiutavano a passare il tempo. Sto narrando quel periodo dove la televisione non c’era e la visione della vita era strettamente sul paese che si viveva, oppure anche solo nel quartiere o sulla borgata dove c’era la cascina o il ciabot. La vita scorreva meno velocemente di adesso però ci si aiutava di più, i problemi si affrontavano subito, e le pene……si facevano scontare rapidamente….Giusto? Sbagliato? Chi sbagliava pagava e invece adesso, nel mondo della globalizzazione, e della democrazia data da numeri e non da giustizia certa, chi commette reati gravi…..vedete tutti voi i risvolti. Nel Piemonte inizi ‘900, la povertà regnava da padrona, il 1° conflitto mondiale era alle porte, e dopo questo, la povertà nei casati agricoli e degli operai era ancora maggiore, perchè molte braccia erano caduti al fronte per costruire le trincee con il proprio corpo, e le mogli a casa cercando di riuscire a sopravvivere con gli stenti. Un periodo che i pochi sopravvissuti si fregiarono del titolo di Cavaliere di Vittorio Veneto”, ed erano fieri di essere italiani. Tutti quelli che ebbero ricevuto l’onorificenza è scritta sulla lapide. Mio nonno era fiero e soprattutto felice di aver portato a casa la pelle, ma con la baionetta inserita sul moschetto 91, molti vendettero cara la pelle, ma la lasciarono sul campo della battaglia. Un pensiero vorrei dedicarlo a loro, vittime di un conflitto dove i generali stavano al caldo e loro costruivano le trincee sul Carso con il proprio corpo. Nella gavetta il minestrone di rapa e cavolo non mancava mai, ma anche i generi di conforto cordiale, grappa e qualche galletta. Invece le mogli sulle cucine economiche cuocevano anche loro le zuppe di cavolo e rape, ma aggiungevano patate, fagioli dell’occhio, pezzi di zucca e quelle che noi gettiamo nell’immondizia cotenne di pancetta, lardo, e come grasso a volte, si aggiungeva lo strutto usato per conservare i salami, Il maiale veniva ucciso in questo periodo, pertanto qualche pezzo di carne c’era, ma anche costine conservata come si diceva allora “Suta Grasa” e il guanciale dopo salatura, veniva usato a fette assieme alle cipolle e aglio rosmarino come fondo per la pentola in cotto e poi a strati tutti gli ingredienti scritti in precedenza. Alcuni, nel centro mettevano lo zampino del maiale e la cottura era di ore e ore, con un sobbollire lento, non perchè era il metodo migliore, ma era il miglior metodo per conservare la legna e non utilizzarne troppa. La parola che andava per eccellenza era fare economia, la stufa utilizzata di chiamava stufa economica e funzionava come riscaldamento cucina, per cucinare e la brace veniva raccolta in appositi contenitori che si andavano a mettere tra le lenzuola che si sollevavano con una specie di occhio di legno dove si andava a collocare al centro questo contenitore. Questo era l’unico riscaldamento della stanza da letto, per i meno fortunati dormivano sul fienile oppure nella stalla con le vacche, però da alcune testimonianze mi dicevano che erano ambienti troppo umidi e si raffreddavano. Era il periodo che l’aspirina o la tachipirina, non esistevano e i medicinali erano troppo cari e si aspettava la guarigione nella speranza. Quando mi raccontavano del gennaio 1915, mi sembrava parlassero di 500 anni fa, invece era soltanto trascorso 70 anni, eravamo nel 1985. La minestra di cavolo si cuoceva anche nel latte e poi si aggiungevano dei gherigli di noci, ma, una signora mi raccontava che la sua mamma sulla cucina economica amava cuocere prima il cavolo nell’acqua, poi scolarlo aggiungere una dadolata di zucca e poi nuovamente cuocere con latte fino allo spappolamento totale della zucca. Quando io gli chiedevo e il sale? Lei mi rispondeva era troppo caro, allora nel periodo estivo raccoglievamo le erbe coltivate tipo la Cerea (santoreggia) Serpol (timo serpillo) Cerfuiet (cerfoglio), poi mia mamma le faceva seccare e con la mano le sbriciolava abbondantemente nella zuppa a metà cottura. Questa seconda zuppa, il suo risultato è semplicemente spettacolare ed io aggiungo a fine cottura della crema di latte e un pezzettino di burro. Se desiderate potete abbinarla ad una dadolate di pane passata in padella, in modo che resti appena dorato e croccante. La signora mi raccontava che odiava la zuppa di rape, fatta nei periodi di magra, dove il latte era destinato alla vendita o all’allevamento dei cuccioli, invece mi raccontava che era ottima quando la mamma la faceva cuocere con il latte e poi a fine cotture un bel bicchiere d’fior, cioè la panna raccolta sul latte che affiora con il riposo del latte in un recipiente. Un dolce pensiero alle vite che mi hanno reso queste testimonianze, che oggi non ci sono più, ma sono sicuro che questi racconti faranno rivivere il loro stile di vita, in povertà di materie prime, ma ricchi di quei valori che oggi la società è povera, molto, molto povera. Non mancano i cavoli, latte, panna, zucche, rape, gherigli di noci, ma c’è l’assenza quasi totale della dignità, dell’amare il prossimo come noi stessi, e soprattutto dare a chi ha necessità per la sopravvivenza. Allora, la signora allattava al proprio seno un’altra bambina, perchè lei aveva una bambina piccola e una grande abbondanza di latte e in cambio la signora dava qualche dozzina di uova e qualche bottiglia di vino. Adesso? Pappe latte e alimentazione per i neonati a prezzi non modesti. Non conosco donne che oggi si prestano a questo gesto generoso, sarei felice di scrivere una storia di questo gesto per la vita altrui. Scrivete in redazione. 



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