Caso Bellinvia, l’azienda confiscata alla famiglia Ofria

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Il caso Bellinvia, azienda confiscata alla mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, ha attirato l’attenzione degli inquirenti della DDA di Messina. Nonostante fosse stata espropriata alla famiglia Ofria, l’impresa sarebbe rimasta sotto il loro controllo grazie alla complicità di Salvatore Virgillito, amministratore giudiziario catanese incaricato di garantire la separazione dall’influenza mafiosa. Tuttavia, le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Marco Chiofalo, rivelano una realtà ben diversa.

L’amministratore giudiziario e la gestione parallela

Il ruolo di un amministratore giudiziario è quello di separare ogni forma di infiltrazione mafiosa dalla gestione di un’impresa confiscata. Nel caso Bellinvia Marco Chiofalo ha raccontato di un sistema fraudolento basato sulla doppia contabilità: una ufficiale, che veniva messa a disposizione dell’amministratore, e una clandestina, “in nero”, utilizzata dai familiari di Salvatore Ofria per continuare a generare guadagni illeciti.

Questo sistema permetteva alla famiglia mafiosa di incassare denaro non dichiarato, realizzando transazioni sotto-fatturate su parti di ricambio destinate alla demolizione di veicoli. I guadagni venivano trattenuti dai parenti degli Ofria, che gestivano tutto senza alcun controllo diretto.

Il ruolo della famiglia Ofria nel controllo dell’impresa

Nonostante la confisca, i membri del clan Ofria continuavano a operare come se l’impresa fosse ancora loro. Giuseppe Ofria, detenuto nel carcere di Pagliarelli a Palermo, aveva fornito a Chiofalo informazioni dettagliate sulle modalità di gestione della Bellinvia. I familiari degli Ofria si occupavano quotidianamente della parte amministrativa dell’impresa, sottraendo denaro direttamente dalle casse aziendali.

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In questo scenario, la famiglia mafiosa non aveva alcuna autorità legale sull’impresa, ma gestiva i proventi illeciti attraverso transazioni in contante. Il denaro veniva conservato in un borsello nero all’interno degli uffici aziendali, lontano da occhi indiscreti, e utilizzato per scopi privati dai membri del clan.

Le accuse contro l’amministratore giudiziario

Secondo l’ordinanza del gip Salvatore Pugliese, Virgillito aveva il compito di garantire che l’impresa fosse liberata dalla mafia, ma la sua gestione si è rivelata tutt’altro che conforme a questa aspettativa. Nonostante l’incarico ricevuto, Virgillito non ha impedito che i membri del clan Ofria continuassero a controllare l’attività aziendale, come se nulla fosse cambiato.

L’amministratore ha formalmente svolto il suo compito di sterilizzare l’impresa, ma, nella pratica, ha permesso che la gestione continuasse come prima. I familiari degli Ofria erano ogni giorno presenti all’interno dell’impresa, gestendo le operazioni finanziarie e garantendo che l’amministrazione non subisse modifiche. L’amministratore giudiziario, dunque, ha svolto il suo ruolo con una complicità tacita, senza mai ostacolare i mafiosi.

La difesa dell’amministratore e il ricorso

Di fronte a queste accuse, Salvatore Virgillito ha respinto le accuse, dichiarandosi estraneo ai fatti contestati. Il commercialista, assistito dai legali Alberto Gullino e Angelo Mangione, ha sostenuto di aver sempre svolto correttamente il proprio lavoro e ha annunciato l’intenzione di presentare ricorso al Tribunale della Libertà contro l’ordinanza di custodia cautelare.

Il caso Bellinvia e la necessità di un controllo più rigoroso

Il caso della Bellinvia è sintomatico delle difficoltà che lo Stato affronta nel garantire il rispetto della legalità nelle imprese confiscate alla mafia. Nonostante le confische e gli interventi giuridici, alcune attività rimangono sotto il controllo di clan mafiosi, che riescono a continuare a trarre profitti illeciti grazie alla complicità di chi è incaricato di tutelare la legalità. La doppia contabilità e il passaggio di denaro non registrato sono solo alcuni degli strumenti utilizzati per mantenere intatti gli interessi del crimine organizzato, anche a distanza di anni dalla confisca.

Questa vicenda dimostra la necessità di un sistema di controllo più rigoroso da parte delle autorità giudiziarie e degli amministratori giudiziari, affinché le imprese sequestrate non diventino veicoli per attività illecite e i fondi sottratti alla mafia non tornino nelle mani dei criminali. Il contrasto alla mafia, infatti, non può limitarsi all’espropriazione dei beni, ma richiede un’attenzione costante alla gestione di questi beni.

Vincenzo Ciervo



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