Amministratori di sostegno, più garanzie per le persone vulnerabili

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In questi giorni sulla stampa locale, è apparsa la notizia di un Avvocato accusato di truffa, in quanto si sarebbe appropriato del denaro di un uomo al quale faceva da Amministratore di sostegno, inducendo in errore il Giudice tutelare: figura preposta a garantire la correttezza della gestione degli interessi delle persone più vulnerabili.

Gli ADS (Amministratori di Sostegno), svolgono un ruolo essenziale, ma la loro nomina, soprattutto quando riguarda figure esterne alla famiglia, dovrebbe garantire rigorosi criteri di trasparenza e responsabilità; purtroppo, ciò non sempre si verifica, come confermato da diversi fatti gravi di cronaca nazionali e dal forte malcontento sull’operato di un numero sempre crescente degli ADS.

La figura del ADS è stata introdotta dalla Legge n.6 del 2004 e veniva presentata come una forma di tutela giuridica più blanda ed elastica rispetto all’interdizione e all’inabilitazione, ma nel corso degli anni è diventata, in molti casi, uno strumento attraverso il quale è possibile limitare fortemente la libertà e violare i diritti dei diretti interessati cosiddetti “beneficiari”: spesso è l’ADS ad interfacciarsi con i servizi sanitari e/o prestare al posto dell’amministrato il consenso informato alle cure e ad effettuare le scelte al suo posto, anche quando l’amministrato sarebbe in grado di valutare, esprimere un giudizio, un parere e dare un consenso o dissenso.

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Tutto questo è reso possibile anche dal fatto che agli ADS vengono conferiti “ampi poteri” da parte dei Giudici tutelari, anche se, pare, questo avviene prevalentemente per quanto riguarda la nomina di ADS esterni alla famiglia. In questi casi può succedere che i familiari non vengano coinvolti quando definiti “non collaborativi”!

Tutto questo avviene mentre, oltre ai diritti costituzionali già preesistenti per quanto riguarda i diritti dei soggetti con disabilità, la Convenzione ONU (ratificata dall’Italia attraverso la promulgazione della Legge n. 18/2009), all’art. 12 riconosce loro piena capacità giuridica, ne sancisce “pari riconoscimento davanti alla Legge” e stabilisce che il supporto al processo decisionale venga effettuato nel rispetto della loro volontà e delle loro preferenze.

È perciò evidente che l’applicazione di questa legge è controversa; infatti, varie associazioni nazionali stanno spingendo per riformarla definendo meglio i margini di applicazione e discrezionalità nel maggior rispetto dei diritti delle persone amministrate.

Detto semplicemente: “la Legge 6/2004, non può e non deve assumere connotati di ulteriore menomazione, limitazione personale e violenza psicologica nei confronti dei soggetti deboli e/o delle loro famiglie, poiché non è con, e per quello scopo, che è stata fatta”!

Dalla relazione del Garante Nazionale per i diritti delle persone private della libertà personale, anno 2020 (La Persona Tutelata): “Spesso, si concretizza il rischio che lo strumento giuridico della tutela possa paradossalmente diventare ‘garanzia’ di esclusione della persona, certamente fragile, ma non per questo incapace di comprendere la sua vita e le decisioni che la riguardano, trovandosi così, suo malgrado e nonostante le previsioni delle norme sovranazionali, a essere sottratta a una vita libera”.

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