Salutare con entusiasmo la svolta di Zuckerberg è ingenuo: serve democrazia partecipativa

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di Sara Gandini e Paolo Bartolini

Il proprietario della più grande fabbrica planetaria, che si caratterizza per il fatto curioso che i suoi lavoratori (stimabili in miliardi di unità) producono valore gratuitamente notte e giorno, fa scandalo e guadagna le prime pagine dei giornali dicendo al mondo quello che sapevamo già: durante gli anni più caldi della pandemia i democratici americani hanno imposto una censura strisciante che arginasse la circolazione di informazioni – incluse quelle affidabili e credibili – intorno ai limiti della gestione globale dell’emergenza sanitaria.

Stiamo parlando, come è chiaro, di Zuckerberg, inventore e amministratore delegato di Facebook, leader indiscusso di Meta. Costui, con l’arrivo di Trump, è subito passato all’altra sponda e abbraccia la retorica della rete libera (soprattutto liberata dal “fact checking” degli strenui difensori della verità ufficiale). Assistiamo sicuramente a un’inversione di rotta che ha qualcosa di positivo, eppure a monte ci sono molti problemi connessi soprattutto alla natura stessa dei social network in un regime capitalistico nel quale le informazioni e l’intrattenimento si mescolano per profitto.

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Sarebbe da sciocchi credere che il nuovo arrivato alla Casa Bianca, e i gruppi di interesse che lo spalleggiano, abbiano a cuore un’informazione libera e completa, così come la piena libertà di espressione dei cittadini. Più semplicemente, qualunque gruppo di potere sa benissimo che sono tanti i modi per condizionare quello spazio virtuale – troppo spesso idealizzato – che chiamiamo Rete. In assenza di un controllo democratico su questi strumenti comunicativi e di propaganda, è scontato che l’infosfera finisca – come nelle questioni geopolitiche – per subire la partizione in sfere di influenza che caratterizza i rapporti di forza tra centri di dominio concorrenti.

Nei primi mesi del 2020, prima che gli errori e le scelte rovinose della politica nutrissero l’incremento di sfiducia verso le autorità preposte a governare la crisi Covid, Facebook e altri canali di “informazione” furono efficacemente egemonizzati dalla cerchia di Steve Bannon (personaggio vicinissimo a Trump e uomo di punta della nuova destra che prolifera non solo negli Stati Uniti: destra iperliberista, razzista, ultrascettica nei confronti del contributo antropico ai cambiamenti climatici e sempre dalla parte dell’industria delle armi). Al controllo capillare (e ipocrita) dei liberal-progressisti fanno eco altre strategie e altri poteri.

Nessuno vuole la Rete “libera”, anche perché orientare l’opinione pubblica è fondamentale per le élite dem e rep, ultraliberiste e finto-sovraniste/populiste. Fondamentale perché il fallimento neoliberista porta con sé la necessità autoritaria di governare masse sempre più impoverite, diffidenti, vittime di un sistema che si sta sgretolando davanti ai nostri occhi. Quindi, salutare con entusiasmo la svolta zuckerbergiana è ingenuo. Più utile e intelligente sarebbe porre la questione di una democrazia partecipativa che non c’è, del ruolo della scuola pubblica e di una sanità alla portata di tutti e non ultimo dell’importanza delle fonti autorevoli nella costruzione di un pensiero autonomo da parte dei cittadini.

Tutto questo ricordando un punto decisivo e scomodo: soprattutto quando si parla di scienza, non bastano i numeri. Essi servono, sono preziosissimi, e bisogna saperli leggere. Tuttavia questa lettura non è mai banalmente “oggettiva” (come vorrebbe una comprensione mancata, e infantile, della ricerca scientifica). Infatti la scienza è un’avventura presa dentro un campo di forze. I suoi dati non si impongono per verità assoluta, ma vanno avvicinati, interrogati, esplorati con la consapevolezza che storia, linguaggio, economia, finanza, rapporti di potere e mille altri fattori interagiscono con ciò che sappiamo.

Non si può mai separare del tutto la politica dal sapere scientifico, e questo dovrà farci riflettere attentamente sulle risposte da fornire a coloro che, riempendosi la bocca di preoccupazioni per l’epoca della “post-verità”, vogliono imporci la loro come unica e indiscutibile.

Ma altrettanto impegno dovremo mettere per far comprendere a tutti che la libertà di espressione va di pari passo con la cautela rispetto agli ambienti che si frequentano, con la capacità di disattivare le logiche manipolatorie che prevalgono sui social privati. Una critica all’altezza dei problemi posti dall’infosfera dominata dalle grandi multinazionali, è prioritaria se vogliamo superare la pessima abitudine di etichettare ogni dissenso come analfabetismo funzionale, creando però le condizioni per un esercizio autentico di democrazia cognitiva e politica, entrambe ai minimi storici.



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