“Prima studentessa e ora direttrice. Grandi traguardi anche come artista”

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Ha trascorso l’infanzia in mezzo ai colori che il babbo Archildo maneggiava e ai quadri che, quasi senza soluzione di continuità, produceva con una impareggiabile passione: il futuro percorso professionale di Paola Babini era così inevitabilmente tracciato, da una parte lo studio con il diploma all’Accademia di Belle Arti, dall’altra, stimolata dall’innata e continua curiosità per nuovi orizzonti espressivi, l’avvio della produzione artistica fatta di quadri, ma soprattutto di installazioni, di composizioni stratificate con i più disparati materiali: scarpe, fotografie, gelatine. Due percorsi paralleli, che ancora proseguono e che l’hanno portata da una parte alla docenza presso varie Accademie in Italia per poi approdare a Ravenna nel 2008, fino a diventarne direttrice due anni fa all’avvio della tanto agognata statizzazione, e dall’altra a porsi all’attenzione della migliore critica nazionale per le sue opere.

Lei dirige l’Accademia che l’ha vista studentessa…l’avrebbe mai pensato?

“Certo che no, anche perché quando studiavo pensavo a un futuro da artista, non volevo saperne di insegnare…e invece, eccomi qua doppiamente soddisfatta perché anche il fronte artistico si è sviluppato con traguardi notevoli. E sono anche ben consapevole di un lieve paradosso…che ovviamente mi onora”.

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Quale?

“Questa Accademia che nel 2029 compirà 200 anni e che lo scorso anno ha festeggiato il secolo del corso di mosaico, è l’unica in Italia con questo indirizzo: ciò che mi onora è il fatto di essere stata indicata dal corpo docente al ruolo di direttrice pur non avendo una specializzazione in mosaico…”.

È indubbio che i docenti hanno votato lei avendola ben conosciuta fin dal 2008 sia come collega sia nella gestione in concreto dell’Accademia…

“Io so solo che in questi anni assieme ai colleghi mi sono spesa moltissimo per giungere alla statizzazione, pensi che all’inizio si lottava contro i mulini a vento… In tal modo abbiamo anche ottenuto autonomia giuridica e se io sono diventata direttrice, Giuseppe Alfieri è stato nominato presidente. E subito ho cercato di implementare i corsi, proiettandoli al futuro…quest’anno sono tre in più, design del gioiello, arte visiva pittura e nuove tecnologie dell’arte e contemporaneamente stiamo lavorando per promuovere all’estero l’Accademia e i suoi corsi, in primis il mosaico. Una promozione che non c’è mai stata…”.

Dopo i fasti fino agli anni 80 mi sembra che l’Accademia sia stata poi lasciata molto nell’ombra…

“Tenga presente solo le sedi: nel 1929 era alla Classense, nei primi anni 70 fu trasferita alla Loggetta Lombardesca, insomma sedi prestigiose e in pieno centro, poi nel ‘99 il trasferimento in periferia, in via delle Industrie…e da allora l’Accademia è stata lasciata lentamente morire”.

La fermo un momento, veniamo a lei, alla sua infanzia in mezzo ai colori che il babbo manovrava…

“Vita avventurosa quella di babbo Archildo, cominciò a dipingere quando era nei ‘marò’ a Venezia e una volta in guerra fu uno dei pochi sopravvissuti della battaglia di capo Bon quando morirono 800 marinai suoi commilitoni. La passione per la pittura e anche per le poesie aumentò una volta tornato a casa. E io andavo con lui nei campi, a lui piaceva dipingere la natura, le scene di lavoro in campagna. E poi mi affascinava il suo studio, centinaia di quadri, tavolozze, pennelli, tubetti di colore. Inevitabilmente tutto questo ha modellato il mio futuro…”.

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L’infanzia l’ha vissuta lì a San Michele, vero?

“Certamente, in una casa vicino alla chiesa, il parroco era don Giuseppe Zaccagnini, il fratello di Benigno. Poi il babbo costruì la casa all’inizio della variante della San Vitale aperta nell’anno della mia nascita, il ‘62. Dopo le elementari lì nella frazione andai alle medie Matteucci: fu l’insegnante a dire a mia mamma, Alma, di iscrivermi al Liceo Artistico…Nel 1981 la maturità”.

Poi l’Accademia…

“Sì, era alla Loggetta Lombardesca. Nel 1985 il diploma, in pittura, con Umberto Folli, un docente legato ancora a schemi che in altre scuole erano superati, e io sentivo forte la necessità di sperimentare anche la contemporaneità. E mi sono venuti incontro la mia innata curiosità, le ricerche, le sperimentazioni, il mio andar per mostre ovunque e soprattutto l’arrivo a Ravenna, negli ultimi due anni, di docenti dell’Accademia di Bologna che portarono venti contemporanei. Ma tutto questo non mi impedì di entrare nella segreteria del concorso di pittura estemporanea di Marina!”.

Il concorso, all’epoca fra i più noti d’Italia, creato da Magnavacchi…

“Che era stato mio docente e che conosceva mio padre. Ci sono rimasta per diversi anni anche dopo l’Accademia. Nel frattempo avevo cominciato a produrre opere, quadri, sculture, installazioni; cominciò così la costante ricerca di nuove espressioni artistiche, l’uso di colori come il blu e il verde, l’utilizzo di nuovi materiali, di oggetti d’uso. Ricordo la prima mostra, a Imola, quegli anni fra l’85 e il ‘90 furono cruciali e la critica era favorevole. Avevo lo studio in via Garatoni…purtroppo nel ‘93 ci fu un incendio!”.

In quello stesso periodo lei divenne docente…

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“Già, avevo deviato dall’originario proposito di fare solo l’artista! Feci domanda per insegnare all’Accademia, anche se senza molta convinzione. E invece nel ‘95 ebbi l’incarico all’Accademia di Sassari, appena statalizzata, ci rimasi per tre anni, poi nel ‘99 arrivò una docenza a Palermo. Insegnavo pittura. Nel novembre 2001 passai di ruolo alla cattedra di tecniche pittoriche all’Accademia di Bologna. Incarico mantenuto fino al primo gennaio 2023 quando mi hanno nominata direttrice a Ravenna”.

Ma lei già insegnava anche all’Accademia qui a Ravenna…

“Ripetendo passate tradizioni, nel 2008 era iniziata una collaborazione fra le due Accademie con docenti di Bologna in trasferta a Ravenna. E mandarono anche me. E due anni fa, la direzione…”.

Con diverse iniziative messe subito in cantiere…

“Dei nuovi corsi e della promozione ho già detto e fra le altre iniziative, un fiore all’occhiello è stata la mostra ‘I am a Mosaic!’, un doveroso omaggio ai grandi maestri ravennati del passato, in occasione dei cento anni della scuola di mosaico dell’Accademia”.

Nel frattempo non ha mai tralasciato l’attività artistica…

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“Certo che no, sempre sul fronte di nuove tecniche, meglio, multitecniche sovrapposte… con anche il ritorno alla bidimensionalità, al quadro…C’era stato il periodo delle scarpe racchiuse in teche quadrate in plexiglass immerse in gelatina, la scarpa come memoria…poi sono passata alla natura, all’ambiente, agli alberi, temi per me affascinanti, ricordi lontani dell’infanzia col babbo…, all’archeologia, alle forme architettoniche, con l’utilizzo di materiali vari, anche fotografie trasparenti stampate sull’acetato. Trasparenza e fluidità sono inscindibili per me. E alla produzione artistica si abbinano le mostre, attualmente ne ho una, ‘Indelebili tracce’, al Museo Diocesano a Faenza”.



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