Modelli della Disabilità: dal deficit alla diversità

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La disabilità non è un concetto neutro. Di fronte a essa ognuno di noi proietta le proprie convinzioni, valori, idee e pregiudizi. Interrogarci su quale sia la nostra visione della disabilità ci permette di andare oltre le apparenze e le risposte superficiali, esplorando il modo in cui la società costruisce significati e relazioni attorno alla diversità. I modelli della disabilità ci offrono schemi coerenti per esplorare le nostre convinzioni e decostruire i nostri preconcetti. Possono essere lenti attraverso cui comprendere il mondo e agire in esso. Riflettere su questi paradigmi significa non solo capire come interpretiamo la disabilità, ma anche come possiamo trasformare barriere in ponti, discriminazioni in opportunità e inclusione in realtà.

Cosa sono i modelli della disabilità e perché è importante conoscerli

I modelli della disabilità nascono all’interno dei Disability Studies e sono paradigmi teorici che cercano di spiegare la natura della disabilità e di definire come la società, gli individui e le istituzioni interagiscono con essa. Guidano il modo in cui le disabilità vengono comprese, affrontate e rappresentate in ambito sociale, politico e culturale. Conoscere i principali modelli della disabilità permette di acquisire degli strumenti per analizzare criticamente le rappresentazioni della disabilità che ci vengono offerte dall’industria culturale e mediatica. Ma anche capire cosa guida certe scelte politiche e quali sono le implicazioni etiche e sociali che ne derivano.

Ogni modello porta con sé un’idea di normalità, autonomia e valore umano, influenzando le percezioni collettive. Riflettere su questi paradigmi ci aiuta a distinguere tra approcci che perpetuano stereotipi e quelli che promuovono inclusione e uguaglianza. In un’epoca in cui la narrazione mediatica e le politiche pubbliche giocano un ruolo cruciale nel modellare l’immaginario collettivo, interrogarsi sui modelli della disabilità è più che un esercizio teorico: è essenziale per ripensare le basi della convivenza e abbattere le barriere, fisiche e culturali, che ancora limitano la piena partecipazione di tutti.

Quali sono i modelli della disabilità

I Disability Studies fanno il loro ingresso nelle università europee e americane tra gli anni ’70 e ’80. Inizialmente vengono teorizzati solo due modelli contrapposti: quello medico e quello sociale. Secondo la visione medica della disabilità, quest’ultima è esclusivamente frutto di un deficit individuale, analizzabile e comprensibile solo attraverso le lenti della medicina; mentre per il modello sociale la disabilità è un fenomeno complesso, in cui la società ha una responsabilità nel “disabilitare” le persone attraverso esclusione sociale e discriminazione.

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Nei decenni successivi i modelli si sono moltiplicati, arrivando a fornire una complessa cornice concettuale in grado di dar conto di numerosi fenomeni che ruotano intorno al tema della disabilità. La macro-distinzione tra modelli è quella tra teorie che pongono al centro il deficit individuale e quelle che vedono la disabilità come una questione collettiva.

Modelli della disabilità come deficit individuale

I modelli di questo gruppo sono quelli egemoni all’interno delle società. Non è difficile riconoscerci gli atteggiamenti della maggior parte delle persone di fronte alla disabilità e, anche se non sono intrinsecamente visioni negative, hanno contribuito a costruire robuste barriere di esclusione e pregiudizio.

Modello morale-religioso, modello della carità, modello della tragedia

Il modello religioso vede la disabilità come una punizione divina per qualche colpa commessa dalla persona o dai propri genitori. Con la secolarizzazione delle società si potrebbe pensare che il modello descriva solo il passato, ma non è così. La visione resiste in piccole comunità chiuse o fondamentaliste, ma mostra i suoi strascichi in tutte le altre. Si pensi a tutte le volte che una persona viene considerata moralmente responsabile dei propri mali, come nei casi delle persone contagiate da HIV, quelle dipendenti da sostanze o quelle obese.

Il modello della carità e quello della tragedia sono indissolubilmente legati e si rafforzano a vicenda. Sono particolarmente radicati nella società e appaiono i più resistenti alla decostruzione, anche a causa del velo di benevolenza che li avvolge. Sono le visioni pietiste e abiliste che considerano la disabilità come la peggiore delle disgrazie possibili, invitando le persone non disabili a provare pena davanti alla sfortuna di un corpo o una mente non conformi.

Le pubblicità istituzionali che invitano alle donazioni, o le notizie di cronaca che sembrano dare una giustificazione ai crimini commessi dai caregiver nei confronti delle persone con disabilità sono influenzate da questi modelli. Anche l’apparente benevolenza di qualcuno che aiuta, non richiesto, una persona con disabilità è figlia di queste visioni.

Modello medico, modello della riabilitazione, modello tecnologico

Per questi modelli, le uniche autorità accettate nel campo della disabilità sono i professionisti della medicina. La disabilità viene intesa come un disordine medico da trattare e curare , o da superare attraverso costose tecnologie e ausili che permettano alla persona con disabilità di conformarsi alla società, piuttosto che il contrario. Per esempio comprando apparecchi montacarichi invece che costruendo edifici con rampe e senza barriere.

Ovviamente, i modelli medici hanno la loro ragion d’essere e, in molti casi, la disabilità è effettivamente un problema medico che richiede cure. Tuttavia, i problemi sorgono quando questa visione viene utilizzata per togliere agentività alla persona, prendendo decisioni al suo posto ignorando gli apporti della società al benessere percepito.

Modelli della disabilità come questione sociale

I modelli di questo gruppo hanno iniziato a diffondersi di recente; sono visioni che rifiutano la concezione individualistica della disabilità e propongono una visione globale che mette in discussione lo squilibrio di potere tra persone con disabilità e senza. Secondo queste visioni, se la società accomodasse le esigenze divergenti delle persone, rispettandone gli specifici bisogni personali, non avrebbe più senso parlare di disabilità.

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Modello sociale, modello identitario, modello sociopolitico

Il modello sociale distingue tra handicap e disabilità. L’handicap è un’effettiva limitazione del corpo o della mente che non causa però automaticamente la disabilità. Quest’ultima viene costruita dalla società attraverso l’esclusione. Per esempio, essere ciechi è una limitazione corporea, ma a disabilitare le persone cieche sarebbe la presenza di barriere, la mancanza testi tradotti in lingua Braille, la non accessibilità di programmi di descrizione vocale e così via.

Il modello identitario è stato sviluppato dagli attivisti con disabilità come capovolgimento del modello della tragedia. Secondo questa visione, le autorità in tema devono essere le stesse persone disabili. È una visione che trova i lati positivi nella disabilità, creando identità, cultura condivisa e, quindi, comunità. Molto diffuso tra le persone neurodivergenti e quelle sorde, che negli anni hanno costruito comunità coese e orgogliose della propria condizione.

Il modello sociopolitico considera le persone con disabilità come un gruppo minoritario che subisce oppressione sistemica al pari delle altre minoranze. Il suo focus è sull’eliminazione della discriminazione, vista come un problema di giustizia sociale.

I modelli della disabilità sono mutualmente esclusivi?

Questa breve panoramica, lungi dall’essere esaustiva, non abbraccia ogni visione della disabilità. All’interno del mondo accademico, in quello dell’attivismo e in quello medico, le teorie si fondono tra loro creando sottoinsiemi di teorie, più o meno radicali, che non ambiscono a essere universali, ma che offrono spunti di pensiero interessanti in grado di dar voce a posizioni diverse, critiche, minoritarie e spesso ignorate.

In definitiva, i modelli della disabilità non sono entità statiche, né visioni contrapposte da scegliere, ma piuttosto strumenti per riflettere e agire sulle dinamiche sociali. Sebbene alcuni possano sembrare incompatibili, in realtà spesso si sovrappongono, arricchendosi a vicenda e offrendoci una visione più sfaccettata e olistica. La comprensione di questi modelli ci invita a riconsiderare non solo le politiche e le strutture, ma anche le attitudini quotidiane che alimentano il nostro rapporto con la disabilità.

Domandarci attraverso quale lente guardiamo al fenomeno della disabilità ci permette di riflettere e aprire nuovi spazi di discussione e cambiamento. È solo riconoscendo le radici dei nostri pregiudizi e delle nostre convinzioni che possiamo lavorare per creare un ambiente sociale più equo e inclusivo, dove la disabilità non sia più vista come un limite, ma come una delle molteplici espressioni della diversità umana.

Sara Pierri

 

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