Francia. Sarkozy e Gheddafi: il processo della vergogna e i segreti di una campagna elettorale miliardaria

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di Giuseppe Gagliano

Il processo contro Nicolas Sarkozy, accusato di aver ricevuto finanziamenti illeciti da Muammar Gheddafi per la campagna presidenziale del 2007, è molto più di una semplice vicenda giudiziaria. È un viaggio nel lato oscuro della politica internazionale, dove ambizioni personali e giochi di potere si intrecciano con corruzione, tangenti, e persino legami con personaggi legati al terrorismo. Un intreccio che lascia sul campo più dubbi che certezze e un retrogusto amaro sulla credibilità delle democrazie occidentali.
Secondo l’accusa, Sarkozy avrebbe stretto un patto di corruzione con il regime di Gheddafi già nel 2005, due anni prima della sua corsa all’Eliseo. Al centro dello scandalo, un presunto finanziamento di 50 milioni di euro provenienti direttamente dalle casse libiche, finalizzato a sostenere la sua campagna elettorale. La somma, se confermata, rappresenterebbe un’enorme violazione delle leggi francesi sul finanziamento politico, che limitano drasticamente i contributi privati.
Ma non si tratta solo di denaro. Gli investigatori hanno ricostruito una rete di intermediari, incontri segreti, e pressioni diplomatiche che gettano un’ombra inquietante su tutta l’operazione. Tra questi spiccano figure come Ziad Takieddine, un uomo d’affari franco-libanese che, secondo la procura, avrebbe fatto da mediatore tra Sarkozy e Gheddafi, e Abdallah Senoussi, il famigerato capo dell’intelligence libica, condannato per crimini di terrorismo.
In aula, Nicolas Sarkozy si difende con la solita arroganza che ha caratterizzato tutta la sua carriera politica. “Non avevo bisogno dei soldi libici. La mia campagna era già finanziata,” ha dichiarato durante l’interrogatorio, sminuendo le accuse come una montatura politica. Ma dietro l’apparente sicurezza dell’ex presidente, si intravedono crepe. Le testimonianze degli altri imputati, come l’ex consigliere Brice Hortefeux e l’ex capo di gabinetto Claude Guéant, non fanno che complicare il quadro. Entrambi hanno ammesso di aver incontrato più volte Takieddine, ma con giustificazioni deboli e contraddittorie.
Hortefeux, ad esempio, ha affermato di essere stato invitato a casa di Takieddine per “una vacanza in famiglia”, mentre Guéant ha ammesso di aver partecipato a una cena con Senoussi in Libia, definendola però un incidente diplomatico. La presidente del tribunale, Nathalie Gavarino, non sembra convinta: “Come può un funzionario di alto rango incontrare un condannato per terrorismo senza chiedersi chi sia?”
Il caso non riguarda solo corruzione, ma anche i pericolosi intrecci tra la politica francese e i regimi autoritari. Abdallah Senoussi, cognato di Gheddafi e figura centrale nell’accusa, non è un semplice intermediario. Condannato all’ergastolo per l’attentato al volo UTA nel 1989, che costò la vita a 170 persone, è anche accusato di coinvolgimento nell’attentato di Lockerbie. Eppure, nonostante il suo curriculum, Senoussi avrebbe avuto accesso a incontri riservati con rappresentanti del governo francese, apparentemente senza alcun controllo diplomatico.
Durante una visita ufficiale in Libia nel 2005, Guéant ha ammesso di aver incontrato Senoussi “per caso,” un’affermazione che lascia più domande che risposte. “Non volevo creare un incidente diplomatico,” ha dichiarato, una giustificazione che sembra più una scusa per coprire un’operazione clandestina.
Il caso Sarkozy non è un episodio isolato. Gli investigatori hanno collegato il finanziamento libico a un sistema più ampio di corruzione che coinvolge alti funzionari francesi e mediatori internazionali. Dal caso Karachi, che ha visto la condanna di Ziad Takieddine e Thierry Gaubert per finanziamenti illeciti alla campagna di Edouard Balladur, fino al sospetto uso di fondi neri per alimentare le casse dell’UMP, il partito di Sarkozy, il quadro che emerge è quello di una classe politica profondamente corrotta.
Il processo contro Nicolas Sarkozy è molto più di una vicenda giudiziaria. È uno specchio che riflette le profonde contraddizioni della politica francese e, più in generale, delle democrazie occidentali. Da un lato, si erge l’immagine di un presidente che ha sempre proclamato il rispetto della legge e dei valori democratici. Dall’altro, emergono le ombre di un leader disposto a scendere a patti con un dittatore per ambizione personale.
Mentre il tribunale cerca di fare chiarezza, una domanda resta sospesa nell’aria: fino a che punto i potenti sono disposti a spingersi per mantenere il potere? E soprattutto, chi pagherà il prezzo di questa corruzione sistemica? In attesa di una risposta, il processo continua, ma la credibilità della politica ne esce irrimediabilmente compromessa.

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