Adriano Nelli (Pimco Italia): le condizioni sono ideali. A 5 anni si può avere un rendimento reale del 2%
Prevedere in modo accurato le performance future è una missione molto complicata per non dire impossibile. Ma ci sono alcune eccezioni. «Il margine di errore per chi investe oggi nei mercati obbligazionari è molto basso, perché i rendimenti sono elevati, sia in termini nominali che reali, cioè al netto dell’inflazione — dice Adriano Nelli, responsabile per l’Italia di Pimco —. Storicamente il rendimento a scadenza del reddito fisso spiega il 97-98% del ritorno che si può ottenere. E le condizioni di partenza iniziali sono le migliori degli ultimi 15 anni. Questo vale a prescindere dalla velocità con cui le banche centrali porteranno avanti la normalizzazione dei tassi di riferimento». Questo dipende dalle dinamiche di Pil e inflazione. Su quest’ultimo fronte, il mercato si interroga sul rischio di recrudescenze inflazionistiche, perché l’agenda Trump potenzialmente spinge in quella direzione, tra stimoli fiscali, nuovi dazi e controllo del mercato del lavoro sul lato dell’offerta, per le attese politiche di controllo sull’immigrazione. Tuttavia le aspettative di inflazione sembrano piuttosto ancorate.
Gli strumenti meno rischiosi
La buona notizia è che esistono strumenti per proteggersi da questo specifico rischio. Sono le attività reali, come i titoli indicizzati all’inflazione: oggi sono relativamente sottovalutati e costituiscono un buono strumento di diversificazione del portafoglio. Lo scenario pare tracciato: «Il tasso di riferimento della Fed a fine corsa dovrebbe essere vicino al 3%, per l’Europa sarà attorno al 2%. Allo scenario recessivo attribuiamo un rischio relativamente basso, attorno al 15%». A conti fatti, «un portafoglio obbligazionario di buona qualità a cinque anni dovrebbe dare un rendimento reale di circa due punti percentuali, senza assumere rischi eccessivi», calcola Nelli. Secondo il top manager le scadenze medie, attorno a cinque anni-dieci anni, sono da privilegiare. «Da una parte, essere sulla parte troppo breve non conviene, perché, con i tassi in discesa, il reinvestimento sarà poco premiante. Dall’altra parte, i ritorni sulle scadenze medie e lunghe potrebbero non scendere molto. Pensiamo al Tesoro americano: il disavanzo rimarrà elevato, non sembra esserci alcuna intenzione di realizzare un consolidamento fiscale». Una curva dei rendimenti più ripida – cioè con una forbice che si allarga tra i ritorni delle scadenze brevi e quelle lunghe – «è una buona notizia per i gestori attivi, che possono sfruttarla per ottenere un extra-rendimento», precisa Nelli.
Il «pericolo» Cina
In ogni caso, in questa fase, «è meglio essere selettivi sui titoli ad alto rischio e rendimento» , quelli con un rating creditizio speculativo, privilegiando la componente di buona qualità: «possono dare buoni risultati sia nello scenario di base, il soft landing, ovvero un atterraggio morbido dell’economia globale, sia in caso di recessione»: un’ipotesi che invece tenderebbe a penalizzare le azioni e i bond più rischiosi, vulnerabili a un aumento dei fallimenti. Un altro rischio da monitorare è la Cina: «i problemi strutturali permangono. Il modello di crescita è ancorato al real estate e alle infrastrutture. Resta una mole significativa di debiti immobiliari che devono ancora essere assorbiti: vale la pena ricordare che quando il real estate è sotto pressione esercita un impatto negativo sulla fiducia degli investitori. E d’altra parte, il motore dei consumi interni non è ancora stato attivato come si vorrebbe. L’obiettivo di crescita fissato dalle autorità di Pechino al 5% difficilmente verrà realizzato, nonostante i tagli dei tassi e gli stimoli fiscali». Un’area che merita attenzione è invece, secondo Nelli, quella dei mercati privati. Il private credit, che ha attraversato una fase non facile negli ultimi due anni, «da qui in avanti sarà interessante – conclude Nelli -. I rendimenti possono tornare più attraenti, in termini relativi, in un contesto di tassi in discesa».
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