ALTA TENSIONE CONTRO LE FORZE DELL’ORDINE – Talenti Lucani

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PATRIZIA BARRESE

Il 2024 è stato un anno di importanti date da ricordare e ricco di celebrazioni: dai 70 anni dalla fondazione della Rai ai 20 anni di Facebook, dai 35 anni dalla caduta del Muro di Berlino ai 150 anni dalla nascita di Guglielmo Marconi, inventore della radio, e dei 90 anni dalla scomparsa di Marie Curie, Premio Nobel per la fisica e per la chimica. Altri sono stati gli eventi storici per il mondo intero e per il nostro Paese per il centenario dell’assassinio, per mano fascista, del deputato e segretario del Partito socialista Giacomo Matteotti e i 40 anni dalla scomparsa di Enrico Berlinguer, ultimo, ma non per importanza, la ricorrenza dei cento anni dalla scomparsa del compositore lucchese Giacomo Puccini, al quale tutti i maggiori teatri italiani hanno reso omaggio alle sue magnifiche opere. Ma lo scorso anno è ricordato dallo scorso 24 novembre, per l’incidente a Milano che ha portato alla morte di Ramy Elgaml: dall’accaduto dilagano contrasti e scontri contro l’operato delle forze dell’ordine. Sono numerose le organizzazioni di piazza e le tensioni di ragazzi che manifestano in memoria del giovane egiziano oltre alla solidarietà con il popolo palestinese, e contro i commissariati di polizia e carabinieri, si scaraventa ogni genere di arma contundente. Atti di violenza da condannare che nulla hanno a che vedere con il diritto di manifestare pacificamente, nella speranza che venga fatta chiarezza sulla terribile morte del giovane ragazzo. Sono sempre di più gli ignobili attacchi che si stanno perpetrando per il lavoro svolto dalle forze dell’ordine bollate con il nome di “manganello facile” ma ciò che lascia sgomenti è l’odio e la rabbia dei giovani manifestanti, e la pericolosità di tali sentimenti nei soggetti che strumentalizzano ogni tema per seminare violenza. Manifestare pacificamente la propria libertà di pensiero e il proprio dissenso politico è lecito, tuttavia le autorità competenti devono intervenire, in modo consentito, laddove non viene rispettato l’ordine per garantire la corretta e pacifica dialettica democratica, tutelando la sicurezza della popolazione e della comunità. Le forze dell’ordine sono istituite appositamente per contrastare gli illeciti, e per perseguire le trasgressioni alle norme di legge chiaramente senza abusare del proprio potere e rischiando di commettere a propria volta un reato di abuso d’autorità. Le trasgressioni dei giovani purtroppo sono sempre più manifeste, comprendendo anche la mancanza di rispetto delle regole stradali, assumendo condotte a rischio, in caso di “necessità”, a scapito della vita. Spesso i ragazzi, per essere accolti dal gruppo uniformandosi, assumono comportamenti come espressione dell’essere qualcuno in un gruppo sociale e infrangono determinate condotte per mostrare agli altri fino a che punto riescono a spingersi. La trasgressione è una caratteristica fisiologica del percorso di crescita, in cui il rapporto con le regole educative e sociali viene rivisitato. Per poter crescere un ragazzo deve mettere in discussione e disancorarsi dagli schemi e dalle regole che gli adulti gli hanno fino a quel momento impartito, trasgredire, nel senso etimologico del termine significa infatti andare oltre, superare i preesistenti comportamenti per sperimentare nuovi contesti, acquisire nuovi modelli, alla ricerca della propria adeguatezza personale e sociale. Ma quando la trasgressione, le aggressioni e la mancanza del rispetto altrui vengono a mancare, i comportamenti devono essere condannati senza indecisioni. Il diritto di manifestare non deve essere usato come scusa per atti di violenza, comportamenti ignobili e pericolosi e per sfidare gli operatori per la sicurezza, dipingendoli in modo negativo. Si trascura il fatto che, al di là della divisa, le forze dell’ordine sono individui con diritti, doveri, e una vita personale, hanno famiglie, paure e speranze come ogni altro cittadino. Il loro ruolo, per quanto possa essere soggetto a critiche, richiede un alto grado di responsabilità e professionalità, e non li priva della loro umanità. E visto che si è ormai innescato il circolo vizioso di sfiducia e ostilità tra la polizia e la comunità, aumentano gli ambienti e i momenti di alta tensione, dove le decisioni devono essere prese rapidamente e sotto pressione. Nei diversi scenari è fondamentale che ogni parte, manifestanti e chi prodiga per evitare scontri ingiustificati, si assumano la propria parte di responsabilità affinché le manifestazioni si svolgano in modo pacifico e sicuro. La narrazione mediatica inoltre non contribuisce a una valutazione sempre realistica dei fatti anzi spesso fomenta e diffonde comunicazioni in parte manipolate che non riflettono la complessità delle dinamiche che accadono. Inoltre è fondamentale analizzare il fattore psicologico vissuto dagli agenti di polizia, aspetto che ne influenza il comportamento dinanzi a situazioni di alta tensione, dove il rischio di escalation violenta è una costante. Questo aspetto mette in evidenza come, dinanzi ad una folla esacerbata, la percezione di essere in minoranza, circondati da una massa potenzialmente ostile, possa innescare risposte di difesa aggressive.Testi forniscono un’analisi approfondita delle reazioni delle forze dell’ordine in contesti di protesta ma certo è che dover mantenere l’ordine dinanzi ad una situazione che sta degenerando determina un cambiamento psicologico che può ridurre il senso di responsabilità personale e aumentare la propensione all’uso della forza. Comprendere appieno queste dinamiche è improbabile, se non per chi convive quotidianamente con tali situazioni di pericolo, da parte di chi svolge un compito cruciale ed è incaricato della sicurezza di noi cittadini. La storia e anche la cronaca legata ai segnali di disagio economico e sociale di larghi strati di popolazione, i problemi occupazionali legati alla chiusura e alla delocalizzazione di fabbriche, il malessere di precari, disoccupati e giovani, la pressione dell’immigrazione, ci ammoniscono che basta una scintilla a far esplodere la scontentezza e convertire il malessere in violenza da parte di frange estremiste e di leader della provocazione. Sfortunatamente a parlare non sono solo le voci ma soprattutto mazze da piccone, sassi, fumogeni, uova, vernice, bottiglie di vetro, transenne e bombe molotov, e non si tratta di petardi alla stregua dei festeggiamenti del nuovo anno, nei vari teatri delle contestazioni si impongono sempre più soggetti che mostrano di possedere un inquietante conoscenza delle tattiche di guerriglia. Il crimine inoltre è diventato l’argomento prediletto dai giornalisti. Esso permette ai media di fare spettacolo e conquistare fette di mercato lusingando il fascino del pubblico per la violenza perché lo spettacolo quotidiano di un paese o di una periferia, della sua monotonia e del suo grigiore, non interessa nessuno e ai giornalisti meno di tutti. Sul luogo di manifestazioni, poliziotti e giornalisti diventano concorrenti: i poliziotti vedono la loro immagine demolita dai media e i giornalisti sono percepiti dai poliziotti come provocatori. Purtroppo in questi atti di violenza, dove attualmente non si intravedono possibilità di costruire un dialogo costruttivo che riconosca le sfide affrontate sia dai manifestanti che dalle forze dell’ordine, promuovendo soluzioni che rispettino i diritti e le libertà fondamentali di tutti i cittadini, spesso le tragedie non si riescono ad evitare. “Tacciano le armi nella martoriata Ucraina” come sempre invoca Papa Francesco, oggi bisognerebbe aggiungere tacciano le armi anche in questi contesti e giunga il buonsenso ai professionisti del disordine di piazza. Il diritto di esprimersi e manifestare è sacrosanto ma non bisogna confondere la piazza con il Governo italiano: da sempre, impiegati, produttori, operai e ormai anche militari, affermano che non si ottiene nulla dal governo, “se non si scende in piazza”. Forse è per questo che siamo discendenti dei Romani, che decidevano le questioni politiche nel Foro.

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