Separazione carriere magistrati: implicazioni per utenza giustizia

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Separazione carriere magistrati

È di ieri la notizia che il Governo è riuscito nel suo intento programmatico di ottenere la separazione delle carriere fra magistratura requirente e giudicante.
Un risultato, al momento, ottenuto alla Camera dei deputati, ma che a breve, salvo sorprese, avrà il placet del Senato.

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Al di là delle battaglie politiche che stanno dietro la questione, ben note, cerchiamo di capire cosa cambia per l’utenza del servizio giustizia, ovvero cosa può attendersi il cittadino da questa riforma che, ricordiamolo, incide sulle norme della Costituzione italiana.

In primo luogo, proprio la natura costituzionale dell’intervento legislativo segna un passaggio direi epocale perché, com’è noto, qualsivoglia norma di rango inferiore dovrà, gioco forza e d’ora in avanti, rispettare il dettato della riforma. In pratica, non si torna più indietro. Tutto questo sempre che, dopo il doppio passaggio alle Camere, venga confermato dal referendum, indispensabile per la modifica costituzionale per la mancanza del quorum dei due terzi dl Parlamento (“Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.“).

In secondo luogo, una norma di carattere costituzionale richiede, per sua natura, che la sua applicazione venga fatta da norme specifiche di rango ordinario. Questo significa che si dovrà attendere la normazione successiva per vedere attuata a pieno la riforma. In altre parole, servirà un po’ di tempo per veder applicata la separazione delle carriere.

Quanto al tema specifico, ossia la separazione delle carriere, si andrà verso una figura di Procuratore della Repubblica o Sostituto procuratore della Repubblica che, pur appartenendo all’ordinamento giudiziario, sarà distinta e separata dall’ordinamento giudicante. In altre parole, strade e carriere diverse da subito, con concorsi diversi: un PM sostanzialmente più “parte” nel processo e un po’ meno “giudice”, nel senso di giudice terzo del processo, come vuole l’articolo 111 della Costituzione.

Qui si vedrà se verrà applicato, in tutto o in parte, l’intendimento dell’attuale Codice di procedura penale che postula da sempre il principio di parità fra accusa e difesa. Vi è di certo che rimarrà la disparità sostanziale fra i due soggetti: l’uno (il PM) appartenente all’ordine giudiziario requirente, l’altro (l’avvocato difensore) a un ordine professionale; il primo dotato di uomini e mezzi pagati dallo Stato, il secondo no.

Questa sarà di per sé una prima differenza che risulterà evidente agli occhi del cittadino. Il difensore, pur equiparato come parte al PM, non potrà di certo attingere alle risorse di mezzi e uomini della Procura della Repubblica. Egli dovrà reperirle autonomamente, ma se l’utente del servizio giustizia non ha i mezzi per farlo, non resta che affidarsi al patrocinio gratuito, con tutti i limiti che tale legislazione pone.

Ma proprio sul concetto di parte alcuni intravedono i rischi maggiori, ossia quello di una magistratura requirente al servizio dell’esecutivo. Qui si dovrà porre la massima attenzione nell’attuazione della riforma perché è previsto che:

«Art. 3. (Modifica dell’articolo 104 della Costituzione)

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  1. L’articolo 104 della Costituzione è sostituito dal seguente:
    “Art. 104. – La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente.”»

Quindi, il limite invalicabile del legislatore, di qualunque parte e colore esso sia o sarà nel futuro prossimo, è quello dell’intangibilità dell’indipendenza dei giudici. Una norma attuativa che violi questo principio troverebbe sulla sua strada la Corte Costituzionale.

Lo stesso principio è ribadito nella presentazione del Disegno di legge costituzionale del Ministro Nordio:

«In particolare, il primo comma del novellato articolo 104 ribadisce i princìpi dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, nel suo insieme, da ogni altro potere. Si conferma, così, che la separazione delle carriere non intende in alcun modo attrarre la magistratura requirente nella sfera di controllo o anche solo di influenza di altri poteri dello Stato, perché anche la magistratura requirente rimane parte dell’ordine autonomo e indipendente, com’è oggi, al pari della magistratura giudicante.»

Altro aspetto su cui è posta particolare enfasi è il meccanismo di estrazione a sorte dei componenti degli organi di autogoverno della magistratura, in parte temperato dall’inserimento dei candidati in appositi elenchi o in possesso di requisiti specifici, perché di certo non si poteva lasciare il tutto al caso.

Qui vale ad esplicare tale meccanismo l’inciso contenuto nella presentazione al Disegno di legge, secondo il quale:

«Indiscutibilmente, peraltro, trova fondamento anche nell’esigenza di assicurare il superamento di logiche legate alla competizione elettorale, che non hanno offerto buona prova di sé, indebolendo la stessa affidabilità dell’autogoverno all’interno e all’esterno della magistratura.»

C’è poco da dire: le correnti interne alla magistratura hanno indotto il legislatore a scelte radicali. Il meccanismo dell’estrazione a sorte è nato nell’ottica di sfaldare i giochi correntizi.

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Il rischio è che non si passi dalla padella alla brace. Per evitare che il tutto cada in mano a facili giochi di potere, si è pensato di attrezzare il Consiglio di disciplina nel seguente modo:

«… la Corte è composta da quindici giudici, di cui tre nominati dal Presidente della Repubblica e tre dal Parlamento in seduta comune, in ambedue i casi tra professionisti di particolare affidabilità, individuati in professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno venti anni di esercizio. Gli altri nove giudici sono designati tra gli appartenenti alla magistratura con almeno venti anni di esercizio delle funzioni e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità. La ripartizione dell’organo assicura la maggioranza dei componenti di provenienza togata e, inoltre, per quanto riguarda i componenti «laici», prevede – con assetto innovativo e di maggiore garanzia rispetto all’attuale Consiglio superiore della magistratura – che per metà siano nominati dal Presidente della Repubblica.»

Stessa logica vale per gli organi di autogoverno con funzioni diverse, relative a trasferimenti, passaggi di funzioni e altro, come descritto dalla scheda di lettura per la Camera dei deputati:

«Una delle principali innovazioni concernenti i due organi di autogoverno attiene alla composizione degli stessi. Nello specifico, la presidenza di entrambi gli organi è attribuita al Presidente della Repubblica, mentre sono membri di diritto del Consiglio superiore della magistratura giudicante e del Consiglio superiore della magistratura requirente, rispettivamente, il primo Presidente della Corte di Cassazione e il Procuratore generale della Corte di Cassazione. Gli altri componenti di ciascuno dei Consigli superiori sono estratti a sorte, per un terzo da un elenco di professori e avvocati compilato dal Parlamento in seduta comune e, per i restanti due terzi, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti e tra i magistrati requirenti.»

Un gioco di pesi e contrappesi che dovrebbe garantire tutti, al fine di avere un giudice imparziale e quindi una giustizia equilibrata con la separazione delle carriere. Peccato che allo schema difettino le risorse: più cancellieri, più giudici, più personale, perché al cittadino serve sì una giustizia giusta, ma anche rapida.

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