Un futuro incerto, quello di Gaza, dopo il cessate il fuoco e lo scambio tra ostaggi israeliani e detenuti palestinesi. Si profila adesso pure uno scontro interno al mondo palestinese. Mahmud Abbas, alias Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale palestinese che governa la Cisgiordania, si candida ad assumere il governo della Striscia, dopo che Hamas aveva estromesso l’Anp attraverso una rivolta sanguinosa nel 2007. «Il governo palestinese, sotto la direzione del presidente Abbas, ha attivato tutti i preparativi per assumere pienamente le sue responsabilità nella Striscia di Gaza», si legge in una nota diffusa da Ramallah che afferma con forza «l’autorità legale e politica dello Stato della Palestina su questo territorio».
IL VECCHIO STRAPPO
Diciotto anni fa, gli uomini di Abu Mazen vennero cacciati e uccisi. I nodi sono evidenti, perché Hamas non è stato sconfitto, esiste ancora come forza militare. Il segretario di Stato Usa, Blinken, sostiene addirittura che il movimento estremista di Mohammed Sinwar, per quanto decimato e rintanato nei tunnel, è riuscito a rimpiazzare tutti i miliziani morti con altrettante nuove reclute. Inoltre, la cessazione delle ostilità non farebbe che dare tempo a Hamas di ricostituire le catene di comando. È questa la ragione di fondo per la quale il premier israeliano Netanyahu non aveva finora accettato di interrompere le operazioni militari e i bombardamenti neppure in cambio degli ostaggi. L’arrivo di Trump alla Casa Bianca ha accelerato il processo negoziale, che non avviene in uno scenario definito e maturo. La vittoria totale e la completa distruzione di Hamas, indicate da “Bibi” Netanyahu come obiettivo finale, sono ancora lontane. E riprendere a combattere dopo 42 giorni di relativa pace, con una pressione internazionale montante e la spada di Damocle delle imputazioni per Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Gallant davanti al Tribunale penale dell’Aja, oltre al processo per genocidio davanti alla Corte internazionale di giustizia, non è semplice come potrebbe apparire.
IL FUTURO
Ma se Hamas non è stato spazzato via da quindici mesi di guerra di Israele, difficilmente lo sarà adesso con un accordo sul terreno che ne sancisce il ruolo e la presenza. «Hamas sarà presente in ogni sviluppo della situazione a Gaza», argomenta Ibrahim Madhoun, analista vicino al gruppo armato artefice del 7 Ottobre. «Pensare di escluderlo è come mettere la testa sotto la sabbia». Poco importa che l’Anp comandi nella West Bank e voglia entrare nella stanza dei bottoni anche a Gaza. Deve comunque fare i conti con Sinwar. La situazione sul terreno non è quella che l’amministrazione Biden e gli israeliani auspicavano dopo un anno e tre mesi di combattimenti. Il piano di Blinken sarebbe semplice, sulla carta. Include l’unificazione di Gaza e Cisgiordania, con l’esercito israeliano che si ritira senza possibilità di riprendere a bombardare, e senza deportare palestinesi. L’Anp inviterebbe i partner internazionali, in primis i Paesi arabi del Golfo e l’Egitto, a diventare capifila della ricostruzione con fondi regionali, europei e Onu. In prospettiva, il potere tornerebbe così alle famiglie locali e all’Autorità di Abu Mazen, bonificata all’interno delle sacche di corruzione. Gli israeliani hanno un’idea ancora diversa.
Nella Gaza immaginata dallo staff di Netanyahu non c’è posto per Hamas, ma neanche per l’Anp, soltanto per i clan locali sotto lo stretto controllo di Tel Aviv che dovrebbe intervenire, attraverso i corridoi strategici di confine con l’Egitto o che tagliano la Striscia, nell’eventualità di una ripresa degli attacchi contro Israele, terroristici o missilistici. Anzi, per l’estrema destra alleata di Netanyahu, quella sionista religiosa che fa capo al ministro delle Finanze Smotrich, dovrebbe tornare a esserci una presenza civile di ebrei a Gaza. Quanto a Trump, ha detto chiaro e tondo che non vuole né Hamas, né altre organizzazioni terroristiche nella Striscia, né l’Anp. Impietoso un ex analista dell’intelligence militare israeliana, Michael Milshtein: «Hamas ha ottenuto le due cose che chiedeva dall’inizio: la fine dei combattimenti e il ritiro israeliano».
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