Giustizia, immunità e fondi: i partiti mostrano segnali di un clima diverso
Dall’immunità parlamentare al finanziamento pubblico: trent’anni dopo la fine della Prima Repubblica si avverte (anche a sinistra) il desiderio di tornare alla «normalità costituzionale».
Temi e parole d’ordine che erano diventati autentici tabù, affiorano senza più reticenze nelle discussioni tra dirigenti di partito. Sebbene tutti sappiano che la cosa politicamente più difficile in Parlamento è trasferire quei colloqui dal Transatlantico all’Aula. Ma quanto è accaduto alla Camera sulla separazione delle carriere dei magistrati testimonia come il clima sia cambiato. Il Pd, per esempio, che aveva duramente reagito alla riforma del premierato e all’autonomia differenziata, sventolando nell’emiciclo la Costituzione e la bandiera italiana, stavolta si è limitato a fare opposizione al testo. Come se non avesse da obiettare sul principio. Sarà stato perché nelle sue file non tutti volevano votare contro, e perché la riforma fa presa nell’opinione pubblica.
Sta di fatto che l’umore del Paese si combina nel Palazzo con l’idea di ripristinare — come dice la democratica Serracchiani — «il primato della politica» a lungo sottomessa al primato della giurisdizione. Sia chiaro, l’ex capogruppo del Pd giudica «disastrosa» la riforma del centrodestra, ma quando i suoi compagni iniziano a discutere di immunità parlamentare, aggiunge d’istinto: «Vanno riviste anche le regole sul finanziamento pubblico e privato ai partiti. Serve trasparenza e però il problema dei costi della democrazia va risolto». Non a caso un altro esponente dem, Piero De Luca, le dà ragione: «Pur sapendo che le priorità del Paese sono altre, c’è una questione di sistema legata alla funzionalità della politica».
Infatti nel Pd è «allo studio» una revisione delle norme sul finanziamento, che cancella il modo ipocrita in cui è montata la polemica su Musk e affronta il nodo scorsoio che sta strangolando il processo democratico: o la politica viene tutelata attraverso il contributo della collettività o nessuno può protestare se i magnati se ne appropriano. È dalla discesa in campo di Berlusconi che a sinistra ne hanno contezza, tanto che ciclicamente il tema emerge. Un paio di anni fa l’ex ministro democrat De Micheli ruppe il silenzio: «Mi pento di aver votato la legge che abolisce il finanziamento pubblico. È stata una catastrofe». A sinistra come a destra serve il coraggio di spiegarlo agli elettori, senza passare per emendamenti infilati nelle Finanziarie.
Calenda è a conoscenza di queste riflessioni e concorda sulla necessità di tornare alla «normalità costituzionale» travolta dal populismo che ha segnato un’era da «mani pulite» fino all’«uno vale uno». «Temo però che non se ne farà nulla», dice il leader di Azione: «Perché il Pd è preoccupato di prestare il fianco a Conte sul fronte politico. E non vuole perdere contatto con i magistrati sul fronte giudiziario». Schlein l’ha chiamato, prima del voto alla Camera sulla separazione delle carriere, per chiedergli di opporsi alla riforma: «Perché poi dovremo andare uniti al referendum». «Daremo il nostro consenso e non saremo insieme al referendum», gli ha risposto Calenda. Che proprio da questi passaggi trae motivo di scetticismo.
Eppure nel Pd c’è chi sottovoce sostiene la bontà dei tre temi che «messi insieme hanno la loro logica». E al Senato il capogruppo di Iv Borghi è pronto a presentare entro fine mese una proposta di legge che ripristina l’articolo 68 della Costituzione sulle guarentigie parlamentari, che venne modificato nel ‘93 e provocò la rottura degli argini tra potere politico e ordine giudiziario: «Il sistema così com’è non regge più. E se si vuole rimettere ordine nel caos, bisogna ripartire da questo. Riprenderò un vecchio progetto di legge di Violante che riformula il meccanismo per l’autorizzazione a procedere contro i parlamentari. È un testo per il quale molti oggi a sinistra griderebbero al golpe».
A Nordio sono brillati gli occhi quando è venuto a saperlo. «Quella norma fu voluta da Togliatti», ha sorriso il Guardasigilli: «Non mi provocate…». Chissà se anche la premier prenderebbe la proposta come una provocazione. Perché certe resistenze al ripristino della «normalità costituzionale» sono radicate. E bipartisan.
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