Preghiamo per la pace”: l’appello di Francesco contro la logica delle armi

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“Preghiamo per la pace. La guerra sempre è una sconfitta! E per favore, preghiamo anche per la conversione del cuore dei fabbricanti di armi, perché con il loro prodotto aiutano a uccidere.” Così papa Francesco all’udienza dello scorso 15 gennaio. Parole chiare, come sempre. Ricordiamo, tra i tanti interventi, l’omelia del 13 settembre 2014 al Sacrario di Redipuglia “Anche oggi le vittime sono tante… Come è possibile questo? E’ possibile perché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante!”. L’invito del Papa è ad una preghiera per la conversione dei cuori. Non si tratta di criminalizzare, di puntare il dito, di condannare, ma di leggere obiettivamente la realtà. Di interrogarsi tutti con un serio esame di coscienza di fronte al grande aumento delle armi, delle spese militari (nel mondo 2.243 miliardi nel ’23) e vedere i propri coinvolgimenti e le proprie responsabilità. Il ministro Crosetto qualche mese fa affermava che “le industrie delle armi stanno vivendo il miglior periodo degli ultimi anni, al momento la domanda è molto più alta dell’offerta”. Sappiamo che c’è chi chiede di investire in armi il 5% del Pil. E il Segretario generale della Nato, Mark Rutte, qualche giorno fa al Parlamento Europeo ha chiesto di tagliare le spese per sanità e pensioni e aumentare le spese per le armi!. La dilagante retorica della guerra ci acceca e non ci fa cogliere i grandi interessi legati alle armi. Il Papa interpella la coscienza. C’è un dato oggettivo: le armi uccidono. E non ci si può mascherare dietro alle esigenze di difesa e sicurezza, né dietro al fatto che le industrie delle armi creano posti di lavoro. In primo luogo: se è vero che nel settore delle armi ci sono posti di lavoro da salvaguardare, è altrettanto vero che, a parità di investimenti, i posti di lavoro nella produzione di armi sono di gran lungo inferiori rispetto ad altri settori. Si tratta di scegliere. In secondo luogo: non si può giustificare una produzione solo perché offre guadagni e posti di lavoro.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

E’ necessaria una valutazione etica, indispensabile, per non entrare nella spirale di chi ancora oggi sostiene “se vuoi la pace prepara la guerra”. E’ una realtà che ci deve inquietare, tutti. Se dobbiamo pregare “per la conversione del cuore dei fabbricanti di armi”, non possiamo nascondere le responsabilità di tutti in questo giro di affari di morte. Dobbiamo chiederci: in quale banca depositiamo i nostri soldi? Pochi o tanti non importa. Molte banche sono coinvolte nell’export di armi, e noi ne siamo complici. Ecco perché nell’anno del Giubileo del 2000 era nata la Campagna di pressione alle banche armate (www.banchearmate.org). Si invita a scrivere alla propria banca per chiedere conto dei rapporti con la produzione e vendita di armi, ed eventualmente chiudere anche il conto. E’ un gesto concreto di conversione. E in queste prossime settimane verrà discussa in Parlamento la modifica della legge 185/90 che regola l’export di armi. Se passa questa modifica, non sapremo più quasi nulla della vendita di armi italiane, vietate a Paesi in guerra o che violano diritti umani. E non avremo più la possibilità di conoscere il coinvolgimento delle Banche. Un bel favore alla lobby dei fabbricanti di armi, dei mercanti di morte. Nell’anno del Giubileo, andrebbe fatta anche all’interno della Chiesa una riflessione aperta, franca e sincera su questi temi. Per dare concretezza al Giubileo della Speranza e per non lasciare cadere nel vuoto le parole di papa Francesco.

Ci sono, oggi come ieri, anche molte testimonianze di chi dice ‘no’ alla produzione di armi. Verso la fine degli anni ’80, ci fu un grande lavoro di base per arrivare alle legge 185 del ’90, con le scelte degli obiettori alla produzione di armi Elio Pagani e Marco Tamborini, morto a fine dicembre ’24. Ma anche alcuni lavoratori del porto di Genova, che da anni si rifiutano di caricare e scaricare armi sulle navi che passano da Genova e poi riforniscono di armi l’Arabia Saudita o Israele. O il Comitato Riconversione RWM per la pace ed il lavoro sostenibile, nel Sulcis, in Sardegna, con alcuni che si sono rifiutati di andare a lavorare nello stabilimento RWM che produce bombe. Sono solo alcuni esempi di come, opporsi alla logica della guerra e cercare una strada diversa per la riconversione e l’occupazione. Papa Francesco, nel messaggio per la giornata mondiale della pace dello scorso 1 gennaio, scrive “utilizziamo almeno una percentuale fissa del denaro impiegato negli armamenti per la costituzione di un Fondo mondiale che elimini definitivamente la fame”. Si tratta di scegliere, perché “il male per vincere ha bisogno di complici”.





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