La deportazione Franco Tosi – Logos News

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Il discorso del sindaco di Legnano Lorenzo Radice per la commemorazione della deportazione della Franco Tosi.

Buongiorno a tutti i presenti, all’oratore che quest’anno avremo l’onore di ascoltare, il presidente di Anpi Nazionale Gianfranco Pagliarulo, alle autorità, ai lavoratori della Franco Tosi e ai ragazzi delle scuole superiori che sono con noi.
Oggi, siamo qui per commemorare la deportazione degli operai della Franco Tosi nei campi di concentramento nazisti. Questa commemorazione, per Legnano, è sempre un momento particolare; un’occasione -certo- per fare memoria, ma anche per parlare di presente e di futuro. Per questo il mio intervento non sarà incentrato tanto sul passato – a ricordare quanto accaduto nel gennaio 1944 hanno infatti pensato puntualmente i rappresentanti dell’RSU poco fa -, mentre il presidente Pagliarulo fra poco e il presidente Minelli a seguire parleranno certamente meglio e con più competenza di quanto farei io del fenomeno storico del totalitarismo nazifascista.
Io, nel mio intervento, voglio tornare a dove c’eravamo lasciati giusto un anno fa, a un punto fondamentale nel discorso dell’onorevole Bersani. Bersani, parlando della Costituzione, aveva sottolineato la sua natura profondamente antifascista. E questo non solo perché la nostra Carta vieta la ricostituzione del partito fascista, ma per quanto afferma nei suoi principi fondamentali, con i quali i costituenti hanno costruito una diga ai fascismi di ogni epoca, ponendo a base del nostro vivere comune (del nostro essere comunità nazionale) 3 principi fondamentali che scardinano nella sua essenza il fascismo: antifascista perché all’articolo 1 afferma che la sovranità appartiene al popolo, e non più a un potere assoluto; antifascista perché all’articolo 3 si distrugge ogni ipotesi di discriminazione: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla Legge; antifascista perché all’articolo 11 l’Italia ha ripudiato la guerra come strumento di risoluzione delle controversie con gli altri popoli e non accetta che sia la logica della forza a regolare ogni tipo di rapporto umano.
Ed è allora ripartendo dai fondamenti della nostra Costituzione, nata dalla Resistenza e dal sacrificio di chi, proprio come gli operai della Tosi ha pagato con la deportazione l’opposizione alla dittatura, che mi chiedo cosa sia oggi e come si manifesti ai giorni nostri l’eredità fascista. Cosa tocca a noi oggi fare per far vivere la Costituzione ogni giorno.
Tante sono le analogie fra gli anni 20 del Novecento e i nostri anni 20. Non voglio sottovalutarle, ma vorrei oggi con voi concentrare l’attenzione su un altro fenomeno, di cui forse si parla meno, benché anche esso molto simile a quanto accadeva cento anni fa.
Lo sintetizzo così: l’indifferenza sta alimentando la potenza di chi controlla le infrastrutture dell’informazione e del consenso.
“Dividiamo gli italiani in tre categorie: gli italiani indifferenti che rimarranno nelle loro case, ad attendere i simpatizzanti che potranno circolare; e finalmente gli italiani nemici e questi non circoleranno”.
Di chi è questa frase? Proprio di Mussolini che la pronunciò prima della Marcia su Roma dichiarando apertamente come il fascismo stesse giocando sull’indifferenza di fronte alle ripetute azioni illegali e all’uso sistematico della violenza.
Indifferenza e uso spregiudicato della comunicazione, presto tramutata in controllo dei mezzi di comunicazione. Non importava più la verità, contava solo la propaganda. Il parallelismo con quanto successo o sta succedendo in un numero crescente di Paesi è impressionante: abbiamo visto le recenti elezioni negli USA, in Romania, in Georgia; e stiamo vedendo cosa accade in Germania dove un miliardario americano che controlla dati e informazioni, parlo di Musk evidentemente, cerca di forzare l’opinione pubblica anche in questo paese, dopo averlo fatto senza scrupoli nel proprio. Ma ancora abbiamo visto in queste ore un altro miliardario, a capo di Meta, annunciare senza vergogna alcuna che una piattaforma come Facebook eliminerà quei controlli che servivano per limitare la diffusione di notizie false e contenuti offensivi.
E questo accade in un contesto in cui ormai metà della popolazione in Italia, come in tutte le democrazie mature, non vota e non si interessa più di politica. In un paese, il nostro, in cui un oltre 1/3 degli adulti è analfabeta funzionale e capisce solo testi brevi, e quasi la metà ha grosse difficoltà nel problem solving (dati OCSE).
In un mondo dove la gran parte delle informazioni che creano la “coscienza collettiva” e “lo spirito del tempo” passano da immagini e testi slogan scrollati sui nostri smartphone.
In questo contesto, chi controlla i social e gli algoritmi che determinano ciò che piace e ciò che “non fa tendenza” possiede la nuova ricchezza e il nuovo potere: quello dei dati.
Pertanto è pauroso vedere come sempre più apertamente si dichiari l’alleanza fra la tecnocrazia con movimenti, gruppi e leader sempre più estremisti e populisti per conquistare le menti tramite quelle piattaforme e quel nuovo strumento, dalle possibilità ancora inesplorate, che è l’Intelligenza artificiale: strumenti, apparentemente di comunicazione, ma sempre più usati come strumenti di distrazione di massa. È una sfida enorme quella che ci troviamo ad affrontare, inimmaginabile fino a qualche anno fa e per cui dobbiamo ancora attrezzarci.
Allora, mi domando e vi domando: è questa la nuova resistenza cui siamo chiamati? È questo il nuovo volto del totalitarismo globalizzato che dobbiamo combattere?
E vengo al punto: noi, come persone inserite in una comunità locale, cosa possiamo fare concretamente?
Qualche giorno fa Leonardo Becchetti, su Avvenire, ha parlato del cambiamento profondo dei luoghi del dibattito e della formazione delle preferenze. Una volta erano i partiti, i circoli, le parrocchie, le fabbriche come questa i luoghi del confronto. Qui gli operai che ricordiamo oggi avevano formato le loro convinzioni e la loro avversione al nazifascismo. Tutte queste persone parlavano di cose concrete, di problemi reali fra loro guardandosi negli occhi. Si confrontavano, dibattevano, magari non si trovavano d’accordo e litigavano, ma avevano un confronto reale perché parlavano e ascoltavano gli altri. Si imparava il rispetto, si capiva che le nostre idee si possono anche cambiare e che gli altri potevano avere ragioni diverse dalle nostre. Solo così si poteva trovare, alla fine, un punto d’incontro.
Cosa, questa, che sui social non succede, perché gli algoritmi sono impostati per darci piacere, farci stare sempre più tempo dentro la bolla del nostro comfort. E per questo i social sono lo strumento ideale per veicolare e imporre interessi giganteschi: non fatti, non notizie, ma interessi, specie se si hanno le chiavi per governare i suoi meccanismi, per spacciare fake news fabbricate ad arte come verità, per demonizzare gli avversari, ma anche per creare indifferenza, disimpegno, disinteresse verso i problemi reali, magari verso gli ultimi, che non sono persone che hanno dei problemi, ma che spesso sono loro stesse trasformate in problemi, addirittura nel nostro unico problema.
A questo stato di cose, al pericolo di questa deriva noi dobbiamo dire no. Quel no che pronunciarono gli operai della Tosi di fronte alla prepotenza di chi voleva richiamarli al lavoro e che costò loro la deportazione.
Lo dico soprattutto ai giovani, i più esposti al richiamo dei social. Sappiate dire no! Sappiate dubitare, verificare e discutere davvero. Ricordiamoci che a chi manovra i social servono soltanto due tipi di persone: follower- consumatori e follower-sudditi. Ma noi non dobbiamo essere né gli uni, né gli altri: dobbiamo e vogliamo essere cittadini liberi! E si è liberi soltanto se si è menti libere, se si pensa con la propria testa, se si sanno ascoltare gli altri e, dopo averli ascoltati, se si sceglie in modo consapevole.
Per questo sono convinto che il miglior antidoto al rischio di finire triturati da queste nuove macchine del consenso sia vivere la dimensione reale, la dimensione della propria città, sia costruire insieme con gli altri una città intesa come polis, come spazio delle relazioni, come luogo della vita e della cosa pubblica. La città delle relazioni quindi come luogo di tutti, e di cui tutti -e sottolineo tutti- dobbiamo prenderci cura. Perché è proprio la cura la peggior nemica di quell’indifferenza e di quel “me ne frego” che era il motto dei vecchi fascisti e che continua a essere, nei fatti, l’atteggiamento che accomuna le nuove tecnocrazie alle destre estreme come ai populismi. Essere cittadini attivi -e la nostra città, per fortuna, ci offre tante possibilità per esserlo- nelle associazioni, nelle contrade, nelle parrocchie, nei centri civici, nelle biblioteche, nelle consulte, nei sindacati e nei partiti- è un modo per dire: I care, mi importa, non sono un numero nei like o nei commenti a un post. Sono una persona che vive e si realizza con gli altri in una comunità viva, non in una bolla governata dagli algoritmi. Sono una persona che partecipa e partecipare significa essere liberi. E se sono libero, se siamo liberi dobbiamo dire il nostro grazie anche a loro: a Pericle, ad Alberto, a Carlo, a Francesco, ad Angelo, a Ernesto e ad Antonio.
Grazie per il vostro dono: faremo di tutto per onorarlo, ricordarlo, farlo vivere.

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