Incendi boschivi, parla l’esperto: “Liguria come la California? Impossibile, ma attenzione al clima”

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Liguria. Niente catastrofismi. In Liguria non ci sono gli ingredienti perché si verifichino incendi paragonabili a quelli che continuano a devastare la California con numeri apocalittici: finora 15mila ettari bruciati, danni per 250 miliardi di dollari, 25 vittime. Ma questo non significa che il rischio si possa sottovalutare, soprattutto per la vicinanza ai boschi dei nostri centri abitati. A offrire un quadro d’insieme è Mauro Giorgio Mariotti, già ordinario di botanica ambientale e applicata all’Università di Genova, oggi direttore dell’area marina protetta di Portofino.

Dalle nostre parti può accadere qualcosa di simile?
Non esiste la possibilità che in Liguria si generi un incendio di quelle dimensioni, soprattutto per il tipo di materia combustibile che è abbastanza diverso. Le comunità vegetali sono simili, ma molto più incendiabili in California o ad esempio in Australia, interessata da fenomeni analoghi qualche anno fa. Inoltre il clima è più caldo e arido. Tuttavia c’è un’analogia.

Quale sarebbe?
Nel Mediterraneo il fuoco ha avuto ruolo importantissimo. La macchia mediterranea, la gariga, tutti questi tipi di vegetazione che ci piacciono tanto non esisterebbero se ogni tanto non ci fosse un incendio. Questo vale anche in Liguria: le aree a macchia mediterranea o pascolo sono mantenute o dagli incendi o dalle attività pastorali, altrimenti si evolverebbe tutto verso un bosco. Anche le pinete vengono mantenute perché ogni cent’anni avviene il passaggio del fuoco.

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Quindi senza l’intervento incendiario umano il paesaggio sarebbe diverso?
Non parliamo di uomo, ma di eventi naturali. L’autocombustione è praticamente impossibile nelle nostre zone, la causa principale sono i fulmini. Parlando invece di cause umane, si tratta principalmente di eventi casuali, come le scintille dalla rete elettrica che innescarono l’incendio di Varazze-Cogoleto nel 2019. Un tempo la parte preponderante era legata all’agricoltura, allo scopo di ripulire i terreni: questi erano roghi molto dannosi, ma col progressivo abbandono di queste attività sono calati. E poi ci sono gli eventi dolosi provocati dai piromani, ma nel complesso si tratta del 5-10%.

È vero che gli incendi boschivi in realtà stanno calando?
Da anni si evidenzia ormai questa tendenza, legata proprio al calo delle attività agricole e pastorali. Poi dipende anche dall’organizzazione per spegnerli. Nel 2023 in Italia si è verificato un aumento delle superfici percorse dal fuoco a causa di alcuni grossi incendi che però sono avvenuti tutti al Sud. Secondo dati Ispra, nell’ultima stagione degli incendi sono bruciati 15mila ettari in Liguria, oltre 8mila in Calabria, appena 60 in Liguria.

Spesso, però, si sente dire che l’abbandono del territorio favorisce gli incendi. 
L’abbandono non è causa d’incendi, tutt’altro. Semmai può creare difficoltà nello spegnimento. E poi cosa significa tenere pulito un bosco? Al giorno d’oggi curare migliaia di ettari di bosco comporterebbe costi enormi, nessuno vuole farlo. Dobbiamo essere realistici. Bisogna forse riprendere la selvicoltura? In Liguria ci sono condizioni geomorfologiche per cui il prezzo della legna diventa dieci volte superiore rispetto a quella che si compra già tagliata dai Paesi dell’Est. Il bosco in Liguria ha sempre avuto un’altra funzione, quella di salvaguardare i versanti dall’erosione delle piogge. E anche in quel caso, pure quando il sottobosco era continuamente ripulito, avvenivano ugualmente frane e alluvioni disastrose.

Quanto influisce invece il cambiamento climatico?
Temperature più alte aumentano il rischio di innesco e soprattutto la velocità di sviluppo. Quindi sì, estati più calde possono favorire gli incendi boschivi. L’altro fattore è la siccità: se manca l’umidità il terreno diventa arido, e per il fuoco è l’ideale. Oltre alla minore piovosità anche i prelievi idrici possono rappresentare un problema: la presenza di un corso d’acqua, anche piccolo, può rallentare lo sviluppo di un incendio.

Le nostre città, a cominciare da Genova, sono costruite a ridosso dei boschi: un ulteriore pericolo…
È vero, anni fa un incendio arrivò a lambire i palazzi a ridosso di Pegli. Purtroppo non c’è molto da fare. È possibile ripulire i versanti intorno alle abitazioni ed eliminare un po’ di massa forestale, ma si rischia di correre altri rischi di natura idrogeologica. Sono stati fatti molti errori in passato, purtroppo ce li dobbiamo tenere. Comunque, parlando di prevenzione, ci sono azioni più impellenti che tagliare boschi in periferia.

Ad esempio?
Le strade di accesso per i vigili del fuoco. Sulle alture di Sestri Ponente, dove abito io, ricordo un incendio con fiamme altissime vicino alle case e i mezzi di soccorso non riuscivano ad arrivare a causa di strade strette, piene di auto parcheggiate ai lati. Già questa sarebbe un’ottima cosa. Poi sarebbero utili consorzi per il conferimento e il riutilizzo degli scarti verdi da potatura: l’abbruciamento è uno dei principali rischi per la propagazione degli incendi. E poi può venire in soccorso la tecnologia: sensori, telecamere e droni per intervenire più rapidamente.

Invasi per la raccolta dell’acqua possono essere efficaci?
Sono favorevole a piccoli invasi fatti con tecniche Nbs (natural-based solutions) che rallentano il deflusso idrico, riducono i tempi di corrivazione, sono ottimi anche per la biodiversità e possono fornire una riserva utile in caso di incendi.

Nei prossimi anni dobbiamo attenderci un aumento degli incendi a causa del cambiamento climatico?
Credo che siamo giunti a un punto in cui non ci saranno grosse variazioni, salvo fatti imprevedibili. Certo, se qualcuno getta una sigaretta in una giornata ventosa dopo mesi di siccità con alte temperature, non si può escludere un evento catastrofico. In generale, anche guardando agli ultimi anni, non ci sono variazioni di rilievo, se non in singole regioni. In ogni caso non arriveremo ai livelli dell’Australia, della California, ma nemmeno del Sud Italia.

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I rimboschimenti fanno bene o male?
Dovrebbero essere limitati a situazioni in cui effettivamente possono risolvere i problemi. Se ci sono grosse frane sono inutili. Sulle aree incendiate il rimboschimento è vietato e dovrebbe rimanere tale. Esistono piante chiamate pirofite che sono favorite dal fuoco, come il corbezzolo, il pino marittimo, il cisto, l’erica, diverse specie erbacee: le gemme basali vengono protette e, una volta che l’incendio ha distrutto tutto, non trovano più concorrenti intorno e possono svilupparsi. In ogni caso i piani forestali andrebbero fatti su tempistiche lunghe, almeno 10-30 anni, ma altrove si fanno anche a 300-500 anni. Teniamo presente che una lecceta, prima di riformarsi dalla macchia, ha bisogno almeno di duecento anni.





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